Un dittico, due rarità

Recensione
classica
Wiener Kammeroper Wien
Dominick Argento
29 Ottobre 2002
Come tutti gli anni la Kammeroper, un piccolo teatro nel centro di Vienna al di fuori del circuito dello starsystem e della mondanità, propone una stagione nel segno dell'originalità e della rarità per un pubblico aperto, curioso ed esigente. Nell'ambito del teatro musicale contemporaneo, uno dei pilastri della programmazione dell'istituzione, il cartellone di quest'anno prosegue l'itinerario, iniziato lo scorso anno, dedicato ad opere di autori anglosassoni, proponendo due atti unici del Ventesimo secolo, entrambi questo il loro tratto comune ispirati da opere letterarie dello scrittore russo Anton Pavlovitsch Tschechov. L'opera di Argento è un vero tour de force per il baritono Wolfgang Glashof, che come unico personaggio della vicenda deve stare continuamente sulla scena. La parte è di estrema complessità ma è stata sostenuta con magistrale sicurezza e ricchezza di toni dal giovane cantante tedesco. La peculiarità dell'opera costringe l'interprete non solamente a dover cantare quasi ininterrottamente ma implica anche alcune necessità di regia: Argento sostiene che il personaggio, da solo in scena, è obbligato a parlare di sé stesso, a definire ancora di più il suo carattere e il suo mondo emozionale, cosa che viene molto attutita quando sul palco si trovano più interpreti. Questo è certamente vero, ma pensiamo che dipenda più che altro da un fattore temporale quello a disposizione del singolo personaggio e non da una qualità scenica. A prescindere da questo la regia, e Glashof di conseguenza, hanno voluto accentuare molto i canoni della recitazione tradizionale movimento e gestualitá per intensificare la caratterizzazione del personaggio, che in un crescendo facilmente percepibile e apprezzabile dal pubblico, giunge a risultati di evidente plasticità. Bravi gli interpreti anche nel pezzo di Walton. Qui si trattava soprattutto di proporre la vicenda in maniera divertente, con molta ironia e leggerezza: quasi in tono d'operetta o á la Tschecov, a seconda di come si interpreta il tutto! In questo senso ha aiutato molto la chiarezza nell'esporre il testo, che facilmente si poteva percepire e comprendere (in ciò è stata anche di ottimo aiuto la struttura del teatro: piccolo, intimo e adatto per questo tipo di repertorio). L'orchestra ha esaltato più che altro l'aspetto "espressivo" delle due partiture, tralasciando di avventurarsi in esecuzioni di tipo "strutturalistico" (nel caso di Argento, però, che in un'intervista pubblicata nel programma di sala parla di una struttura fatta come tema costruito sulla base di due serie dodecafoniche e sei variazioni, sarebbe stato interessante evidenziare anche questo). Le linee melodiche e il ductus generale sono rese in maniera molto "romantica", sottolineando quegli aspetti della partitura che, erratamente, potremmo definire più conservatori. L'orchestra non ricerca preziosismi timbrici, ma con una tavolozza dinamica molto ricca e crescendi intensi e struggenti, si pone al servizio della comprensibilità delle vicende narrate. Entrambi i lavori sono stati proposti con estrema semplicità nella regia e nelle scenografie e, in senso lato, tutto l'allestimento, senza volersi arrischiare nei territori del simbolismo che avrebbe potuto comprometterne la riuscita, ha cercato di avvicinarsi il più possibile alle "aspettative" del pubblico, non così numeroso purtroppo, che ha molto apprezzato questa semplicità (comunicatività), si è diverito e, passando una serata dilettevole, si è avvicinato ad un repertorio moderno, raro ed alternativo.

Note: Nella stessa serata sarà eseguita anche "The Bear", stravaganza in un atto di William Walton, su libretto di Paul Dehn e William Walton dalla piéce ononima di Anton Pavlovitsch Tschechov, nella traduzione tedesca di Ernst Roth.

Interpreti: Wolfgang Glashof, Sulie Girardi, Philip David Zawisza

Regia: Nicola Raab

Scene: Maxi Tschunko

Orchestra: Orchestra della Wiener Kammeroper

Direttore: Daniel Hoyem-Cavazza

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