Trovatore al femminile

Torino: al Teatro Regio nell'opera inaugurale "vincono" le voci femminili.

Il Trovatore
Il Trovatore
Recensione
classica
Teatro Regio Torino
Il Trovatore
10 Ottobre 2018 - 23 Ottobre 2018

Messa insieme in fretta (come noto il titolo di apertura avrebbe dovuto essere Siberia di Umberto Giordano), Trovatore recupera l’allestimento del Teatro Comunale di Bologna con la regia dello scozzese Paul Curran, allestimento che già in Emilia Romagna aveva sollevato qualche perplessità. Le scene sono essenziali, i fondali astratti - eccezion fatta per una didascalica luna che “illumina” una generale assenza di luminosità -, un unico impianto scenico in cui gli elementi di maggior rilievo sono grandi scale mosse a ogni cambio di scena (efficace quando la scala è ridotta a una sola, sprofondata nella semioscurità, ad esempio nella quarta parte durante il duetto di Leonora e il Conte). Volgendo l’attenzione ai costumi di Kevin Knight: gli zingari e gli spagnoli medievali vestono qui abiti ottocenteschi, efficaci e di buona fattura, nota positiva, in una scena disadorna. Nonostante ciò l’epoca in cui si svolge la vicenda resta indefinita. Quindi, in definitiva la regia non disturba più di tanto, ma ha poche idee: colpisce l’assenza di movimenti scenici di rilievo soprattutto nei personaggi principali i quali tendono alla stasi (eccezion fatta per  l’episodio all’inizio della terza parte, in cui la zingara tende le corde e travolgendo i suoi aguzzini: una scena un po’ alla Maciste) e che risulterebbero indispensabili in tanta astrattezza. In alcuni punti le scelte registiche non sono chiare: passi l’assenza della “vampa”, passi Manrico ucciso da un colpo di pistola, ma perché Azucena dovrebbe svegliarsi nel finale e fuggire dalla prigione (onde poi tornare indietro assistendo al duetto tra Manrico e Leonora)? Il dispositivo drammaturgico del finale dell’opera ideato da Verdi è chiaro (cosa aggiungerebbe questa modifica registica?): Manrico è portato al patibolo e Leonora è ormai spirata, Azucena in quel punto si desta. 

 

La direzione musicale di Pinchas Steinberg è corretta, senza pathos, ma in alcuni punti imprecisa: il coro degli zingari (complessivamente comunque ben istruito da Andrea Secchi), ad esempio, anticipa il direttore; le incudini sono fuori tempo. Troppo viene concesso alle cattive abitudini dei cantanti, come tempi rallentati, tagli delle riprese nelle cabalette, aggiustamenti per preparare acuti non scritti da Verdi. Com’è noto Leonora e Azucena sono il polo del Trovatore: la prima, Rachel Willis-Sorensen, ha una bella voce verdiana, eccellente dizione, buon legato e ottima presenza scenica, si prende a scena aperta gli applausi dopo «Tacea la notte placida»; la seconda, Anna Maria Chiuri, un’Azucena selvaggia e indomita, che convince, è caratterizzata da una tessitura vocale brunita, specie nel registro centrale. Avremmo voluto delle voci maschili all’altezza di quelle femminili, tuttavia Manrico, il messicano Diego Torre, ha qualche difficoltà di pronuncia e non brilla come dovrebbe (soprattutto in «Di quella pira»), mentre il baritono Massimo Cavalletti tende a gigioneggiare. 

Qualche “buco” in platea, grandi applausi per le protagoniste femminili.

 

 

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