Trieste à la Beaumarchais

Doppia apertura di stagione al Teatro Verdi, che presenta “Il barbiere di Siviglia” di Rossini e “Le nozze di Figaro” di Mozart in due serate consecutive

SN

01 dicembre 2025 • 5 minuti di lettura

Le nozze di Figaro (Foto Fabio Parenzan)
Le nozze di Figaro (Foto Fabio Parenzan)

Teatro Verdi Trieste

Il Barbiere di Siviglia, LE Nozze di Figaro

28/11/2025 - 14/12/2025

Doppia inaugurazione al Teatro Verdi di Trieste con due titoli diversamente popolari: Il barbiere di Siviglia e Le nozze di Figaro. La scelta di presentare in due giornate consecutive l’opera di Rossini e quella di Mozart nasce dalla volontà di offrire al pubblico un viaggio teatrale unico attraverso un’unica, grande storia. Le due opere condividono infatti la stessa fonte letteraria: la trilogia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, di cui Il barbiere costituisce il primo capitolo e Le nozze il naturale seguito. Portarle in successione significa restituire allo spettatore la continuità narrativa originaria, mostrando l’evoluzione dei personaggi e dei loro rapporti. Ritroviamo così Figaro, Rosina e il Conte d’Almaviva mentre passano dalle schermaglie amorose e dai toni brillanti del dramma giovanile ai conflitti più maturi, sociali e psicologici delle Nozze. L’accostamento mette in luce i fili drammaturgici che legano le due opere: la dialettica tra classi sociali, il tema della libertà individuale, l’ingegno come strumento di emancipazione e il gusto per il gioco teatrale. Al tempo stesso, consente di apprezzare come due giganti quali Mozart e Rossini abbiano interpretato lo stesso universo narrativo con stili e sensibilità proprie, offrendo un’esperienza teatrale ricca e coerente attraverso due declinazioni molto diverse della comune fonte teatrale. 

La presentazione consecutiva dell’opera di Rossini e di quella di Mozart trova un punto di forza nell’allestimento di Pier Luigi Pizzi, che come sempre firma regia, scene e costumi, e costruisce per entrambe le opere una cornice scenografica unica, elegante e rigorosa. L’architettura bianca, ispirata a un Settecento essenziale e luminoso, funge da “casa narrativa” comune, luogo simbolico in cui si intrecciano le vicende della trilogia di Beaumarchais. All’interno di questa cornice scenografica fissa, salvo l’aggiunta di qualche fondale con pochi elementi di austera eleganza, Pizzi introduce varianti sceniche dinamiche: tavole imbandite che diventano campi di battaglia comici, balconi che diventano punti d’incontro o di fuga, drappi e tendaggi colorati che modulano lo spazio e il suo respiro emotivo. 

La distinzione tra i due titoli emerge in primo luogo dal tono visivo. Nel Barbiere, i colori più accesi e vivaci sono riservati a Rosina e il suo tutore, mentre agli altri spetta esclusivamente il nero e un bianco luminoso, con contrasti netti che sottolineano la frizzante energia comica dell’opera rossiniana. Nelle Nozze, invece, il clima si fa più intimo e malinconico: dominano tonalità sobrie e le tinte pastello, il giallo caldo dei tendaggi e una luce più morbida che accompagna la maturazione dei personaggi e l’approfondirsi dei rapporti. Anche i costumi, modellati su un’elegante sobrietà settecentesca, contribuiscono a questo raffinato gioco teatrale: linee nette, cromie calibrate, accenti selezionati che spezzano la neutralità con misurata eleganza, impreziosendo la severa cornice architettonica. In questo dittico, Pizzi conferma quella che si potrebbe definire la sua maturità dorata, scegliendo un’essenzialità del segno teatrale che non si limita all’apparato scenografico ma investe anche la chiave registica adottata per entrambe le opere. Il gesto si fa più puro, il racconto più concentrato, la scena più astratta ma mai fredda: un teatro che non sovraccarica, ma illumina. Così, mentre la continuità visiva sorregge il filo drammaturgico tra i due lavori, le differenze di spirito – giocoso e buffonesco nel Barbiere, velato e malinconico nelle Nozze – risuonano con chiarezza, offrendo al pubblico un viaggio coerente e ricco di sfumature all’interno del mondo di Beaumarchais. 

In piena sintonia con lo spirito che anima i due allestimenti scenici si muove anche la direzione musicale di Enrico Calesso, di fresca conferma alla guida del teatro lirico triestino. La sua lettura si distingue per chiarezza, naturalezza teatrale e un controllo del tempo sempre saldo, capace di valorizzare tanto la frizzantezza rossiniana quanto la più sottile (e malinconica) psicologia mozartiana. L’Orchestra del Teatro Verdi risponde con una prova di grande qualità in entrambe le serate: archi lucidi e precisi, capaci di fraseggi morbidi o scintillanti secondo le esigenze, e fiati di bel colore e notevole agilità, con i legni particolarmente brillanti e rifiniti nelle Nozze. Buona la prova del Coro nel Barbiere, dove mostra compattezza e vivacità scenica, mentre nelle Nozze risulta meno preciso e non sempre penetrante, in un’opera, comunque, che non assegna un ruolo determinante alla compagine corale. 

Ben assortite entrambe compagnie di canto, ma quella del Barbiere sembra avere una marcia in più, soprattutto per la grande energia scenica di Alessandro Luongo, che modella un Figaro scenicamente disinvolto e vocalmente sicuro, e di Marco Filippo Romano, che è un Bartolo buffo per davvero ma privo dei cliché della tradizione. Di grande classe la Rosina di Annalisa Stroppa, mentre risulta più compassato e con qualche approssimazione vocale l’Almaviva di Marco Ciaponi così come il Basilio di Abramo Rosalen, non sempre impeccabile nella precisione ritmica. Il cast delle Nozze offre una prova nel complesso equilibrata con qualche limite. Simone Alberghini è un Figaro corretto ma meno vivace e brillante del suo “predecessore” rossiniano, mentre Carolina Lippo compensa con una grande spigliatezza un mezzo vocale piuttosto esile. Ekaterina Bakanova dà alla Contessa un buon temperamento drammatico, valorizzando i momenti di maggior pathos emotivo, e Giorgio Caoduro si distingue per un Conte di forte presenza scenica e autorevolezza vocale. Paola Gardina è un Cherubino disinvolto e naturale; puntuali e ben misurate anche le prove di Andrea Concetti (Bartolo), Andrea Galli (Basilio) e Pietro Picone (Curzio) nei loro ruoli di carattere. Veronica Prando porta freschezza e spontaneità alla sua Barbarina, mentre Anna Maria Chiuri, già spiritata Marcellina nel Barbiere, conferma una notevole verve comica unita a una presenza scenica di grande mestiere. Infine, William Corrò, già Fiorello nel Barbiere, dà vita a un Antonio vivace e incisivo, perfettamente inserito nel ritmo teatrale dell’allestimento. 

Pubblico particolarmente elegante nella prima serata, aperta dall’inno di Mameli seguito dal beethoveniano Inno alla gioia, più rilassato nella seconda ma ugualmente caloroso negli applausi a tutti gli interpreti in entrambe le serate.