Thierry balla coi leoni

La novità Until the Lions di Thierry Pécou ispirata ad un episodio minore del Mahabharata inaugura la stagione dell’Opéra national du Rhin

Until The Lions (foto Klara Beck)
Until The Lions (foto Klara Beck)
Recensione
classica
Strasburgo, Opéra national du Rhin
Until the Lions. Échos du Mahabharata
25 Settembre 2022 - 30 Settembre 2022

Finché il leone non racconta la storia, il cacciatore sarà sempre l’eroe, recita un antico proverbio africano, come dire che la storia non la scrivono mai le prede ossia i perdenti ma i predatori ossia i vincitorif . Da lì proviene il titolo “Until the Lions” dell’ultimo lavoro del francese Thierry Pécou, che ha aperto la nuova stagione dell’Opéra national du Rhin a Strasburgo. Anche se presentata nel quadro dei festeggiamenti per i 50 anni dalla fondazione dell’organizzazione lirica alsaziana, l’opera era stata commissionata dalla scomparsa direttrice generale dell’Opéra du Rhin Eva Kleinitz, cui il lavoro è dedicato, e programmata nel 2020 per il festival Arsmondo dedicato all’India, poi sospeso causa pandemia.

Per questa storia di guerra e di dignità femminile offesa il testo è stato affidato a Karthika Naïr, poetessa francese di origine indiana, che lo ha liberamente tratto dal suo libro Until the Lions: Echoes from Mahabharata. Della saga indiana, resa celebre in Europa dallo spettacolo fiume di Peter Brook qualche decennio fa, l’opera riprende un episodio minore, nel quale si racconta dell’affronto del re di Kasi alla famiglia reale di Hastinapura, il cui rampollo Vichitravirya viene escluso dal torneo, dal quale dovrà uscire il pretendente alla mano di una delle tre figlie del re. Per vendicare l’intollerabile affronto, Satyavati, madre di Vichitravirya, manda il figliastro Bhishma, guerriero casto, a sconfiggere tutti i pretendenti e a rapire le tre figlie del re di Kasi. Delle tre donne, solo Amba, donna fiera e indipendente, rifiuta di sottomettersi all’umiliazione imposta dalla violenza di Bhishma. Per combattere ad armi pare con l’uomo, la donna si immola, reincarnandosi nel guerriero Shikhandi e, nella battaglia di Kurukshtra, uccide Bhishma con una freccia, soccombendo subito dopo ai colpi del clan rivale: “Questa volta noi ci batteremo – un combattimento senza vincitori: io ti ucciderò, ma prima tu mi guarderai morire.”

È sicuramente originale la lettura della saga indiana che emerge dai versi di Karthika Naïr, tutta dalla parte delle donne, anche nel peso dei ruoli scelti nell’opera, nella quale all’unica presenza maschile (Bhishma, che ha la voce di baritono) fanno riscontro l’eroina positiva Amba (contralto), la regina madre Satyavati (ruolo parlato) e due donne testimoni della guerra e delle sue vittime, mentre il coro resta una presenza “atmosferica” sullo sfondo. Prevalentemente maschili sono invece le presenze dei corposi contributi coreografici “di battaglia” nella composita partitura di Thierry Pécou, che si propone come sintesi fra linguaggio musicale occidentale, che attinge dal colorismo di scuola francese nella ricca strumentazione ma ha una nervatura ritmica con cellule iterate prese a prestito dal minimalismo americano, e materiali compositi come nella tradizione orientale con canto, danza e parlato. Da questo punto di vista l’opera di Pécou si potrebbe considerare un’attualizzazione del grand opéra francese in chiave etno, anche se la direttrice Marie Jacquot alla testa dell’Orchestre symphonique de Mulhouse è più attenta al complesso mosaico timbrico che al respiro epico della partitura.

Until The Lions (foto Klara Beck)
Until The Lions (foto Klara Beck)

La britannica Shobana Jeyasingh, anche lei di origine indiana, firma come regista e coreografa (e danzatrice in scena) una produzione piuttosto austera sul piano della spettacolarità, che fa leva quasi interamente sulla dimensione coreografica mentre il plot resta molto spesso implicito o sviluppato in chiave simbolica come nel drammaturgicamente ermetico testo di Naïr. La stessa scena unica disegnata da Merle Hensel è più funzionale che decorativa nel suo spazio bianco vuoto, tagliato nella parte alta da una passerella scalfita da una selva di frecce, resti di una battaglia, che serve alla sfilata dei potenti (di cui la torva Satyavati ne è l’epitome). L’unico elemento decorativo è invece affidato ai coloriti costumi di stampo etnico-mitologico.

Funziona bene l’eterogenea locandina, che ha in Fiona Tong un’interprete autorevole nei melologhi riservati a Satyavati, che è anche la narratrice degli eventi, in Noa Frenkel un’Amba dalla pertinente vocalità androgina, in Cody Quattlebaum un Bhishma capace di sedurre ma anche di mostrare le durezze della sua natura violenta, e nella coppia Mirella Hagen e Anaïs Yvoz, le testimoni della guerra e donne di corte, un complemento efficace nelle sottolineature liriche dei loro brevi interventi. Fondamentale, ovviamente, l’apporto dei bravi danzatori del corpo di ballo dell’Opéra national du Rhin ed efficace i contributi del Coro dell’Opéra national du Rhin preparato da Alessandro Zuppardo.

Pubblico numeroso in tutte e quattro le recite in programma all’Opéra di Strasburgo e generoso di applausi a tutti gli interpreti.

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