"Tancredi" fra simboli e archetipi

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Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
Gioachino Rossini
17 Febbraio 2002
Dalle scene del San Carlo il "Tancredi" di Rossini mancava da tempo immemorabile: l'ultima volta fu nel 1834 per l'esattezza, quando i panni del protagonista furono vestiti dalla Malibran. Riprendere quest'opera era dunque doveroso, anche di fronte alla sfida rappresentata da una partitura che - pure in tempi come questi di rilancio del repertorio serio rossiniano - richiede una certa temerarietà per essere messa in scena. Punto di snodo fondamentale nella vicenda del suo autore, "Tancredi" si sa, vede convivere antico e nuovo in un equilibrio di difficilissima resa scenica, giacché l'attuazione della poetica neoclassica del "bello ideale" si traduce qui prevalentemente in un gioco di quadri staccati, che non sono pensati secondo un calibrata architettura drammatica, ma fondano piuttosto la propria capacità persuasiva sulla vocalità e sul dispiegarsi di una concezione quasi cameristica della strumentazione. Il nuovo allestimento del San Carlo ha cercato di mettere in atto quest'idea quasi anti-drammatica, in primis attraverso le scene di Mimmo Paladino, che lungi dal ricreare realisticamente una cornice storicamente determinata, miravano ad un sorta di traduzione dell'opera in segni scenici: icone appartenenti all'immaginario più conosciuto di quest'artista - colossali elmi, grandi pareti ferrose, teste di cavallo, simboli enigmatici - collocate in uno spazio essenzializzato, prevalentemente grigio, su cui si stagliavano con discrezione i bei costumi di Nanà Cecchi. L'idea di proiettare la vicenda di Tancredi in uno spazio simbolico e metastorico - di per sé condivisibile - non sembrava tuttavia adeguatamente assecondata dalla regia di Roberto Andò, le cui intenzioni sono parse il più delle volte incerte, oscillanti tra la ricerca di una statuaria fissità e un'articolazione scenica fin troppo tradizionale. Sul versante musicale le cose migliori di quest'allestimento sono venute dalle due protagoniste femminili, giustamente applauditissime: da un lato una Gloria Scalchi che incarna ormai Tancredi con piglio sicuro e grandissima disinvoltura tecnica, dall'altro Darina Takova che nelle vesti di Amenaide esibisce una vocalità di prim'ordine, unita ad una notevole presenza scenica. Se gli altri componenti della compagnia di canto - Mirco Palazzi, Tiziana Carraro e Anna Rita Gemmabella - sono nel complesso sufficientemente spigliati, non molto in forma è sembrato invece uno specialista come Gregory Kunde, un Argirio spesso in difficoltà nel registro acuto. L'orchestra e il coro del San Carlo rispondono con precisione a Marco Zambelli che dirige con idee chiare ma forse non tanto raffinate quanto la partitura richiederebbe.

Note: nuovo all.

Interpreti: Scalchi , Isaev / Kodalli, Gemmabella, Palazzi, Kunde, Carraro

Regia: Roberto Andò

Scene: Mimmo Paladino

Costumi: Nanà Cecchi

Orchestra: Orchestra del Teatro di San Carlo

Direttore: Marco Zambelli

Coro: Coro del Teatro di San Carlo

Maestro Coro: Ciro Visco

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