Suoni silenti

Musica dall'Antica Grecia

Recensione
classica
Prima ancora che un bel titolo per una conferenza (organizzata da MiTo presso il Teatro Arsenale di Milano), Suoni silenti è un bell'ossimoro. Ma non c'entrano Simon & Garfunkel: qui si parla della musica silente par excellence, la musica del mondo greco e latino. Silente perché, salvo qualche raro caso (giusto una sessantina di frammenti di sola provenienza ellenica), a noi di quella musica non è arrivato praticamente nulla. E quel poco più di nulla solleva forse più interrogativi di quanti riesca a colmarne. Certo, una cosa chiara c'è, e l'ha ricordata Mario Cantilena (docente dell'Università Cattolica di Milano) nella sua bell'intervento: la musica era centrale nell'esperienza culturale della Grecia antica (anche se le maggiori notizie si riferiscono ad Atene e Sparta). Lo era dal punto di vista pedagogico: nelle scuole – certo non frequentate da tutti – essa strutturava indispensabilmente la didattica del futuro cittadino (forse i nostri ministri potrebbero imparare qualcosa?). Lo era nelle festività legate ai culti pagani, con tutto ciò che precede e segue in ambito filosofico e politico (vedi Platone e Aristotele). Lo era nel teatro e nella poesia, elemento inseparabile dalla pratica di queste discipline. Lo era infine nelle narrazioni della stessa letteratura greca (l'esempio mitologico delle sirene). E non dobbiamo inoltre dimenticare l'eredità linguistica greca nell'uso di molte nostre parole provenienti dall'attività musicale, come salmo, tono, plettro, lirica. Purtroppo, nella relazione di Cantilena, è mancata proprio la risposta ad un quesito inevitabile, date queste premesse: perché i Greci ci hanno tramandato così poco della loro musica? Per un approfondimento esauriente su questo – per certi versi inquietante – aspetto conviene dunque affidarsi al bel volume La musa dimenticata, edito dalla Normale di Pisa. Non meno intrigante e ricco di spunti il successivo intervento di Roberto Melini (docente presso il Conservatorio Bonporti di Trento) a proposito dell'archeologia a Pompei, caso quasi unico anche dal punto di vista musicale, sia per le indicazioni iconografiche a nostra disposizione (affreschi e graffiti), sia per i numerosi ritrovamenti di strumenti musicali (con tanto di spassoso qui pro quo organologico: i cardini delle porte scambiati per presunti flauti rudimentali). Anche queste poche ma certe testimonianze di una pratica musicale diffusa in quella cultura romana fortemente debitrice del modello ellenistico. Qualche secolo fa, Isidoro di Siviglia, che ancora non conosceva la registrazione sonora, affermò: «Se i suoni non sono ritenuti nella memoria umana, periscono, perché non possono essere scritti». Oggi noi, figli postomoderni della comodità dell'mp3, non possiamo che provare disappunto per non poter accedere a quelli che sarebbero stati i tanti gigabyte della cartella “Musica dell'antica Grecia” e “Musica della Roma imperiale” del nostro lettore portatile.

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