Stockhausen gioca agli indiani

Alla Fondazione Vedova di Venezia gli Indianerlieder del compositore

Recensione
classica

Non è molto frequente assistere a una esecuzione (ma forse sarebbe meglio definirla una messa in scena) di un lavoro come gli Indianerlieder di Karlheinz Stockhausen. Parte del più ampio progetto Alphabet für Liège del 1972, questo lavoro per due voci offre ancora molti spunti di interesse e, perché no, anche di sano “godimento”, specialmente se gli interpreti, pur attenendosi al dettato del compositore, sfruttano la libertà creativa e performativa a essi riservata.

È accaduto, felicemente, nello spazio della Fondazione Vedova a Venezia, nell’ambito del bel ciclo di concerti intitolato Euroamerica, sapientemente assemblato da Mario Messinis.

La pagina stockhauseniana, i cui testi vengono principalmente da una raccolta di canti e preghiere di nativi americani, ma che prevedono anche suoni, onomatopee, nomi e frammenti di narrazione scelti dagli esecutori, ha trovato nella peculiare voce di baritono di Nicholas Isherwood (artista che ha lungamente collaborato con Stockhausen, specialmente per il ciclo Licht) e nella soprano Anna Clementi due interpreti ideali, non solo per la resa vocale, ma anche per la freschezza delle idee performative.

Una foto pubblicata da Enrico Bettinello (@enricobettinello) in data: 14 Nov 2016 alle ore 09:26 PST

Vestiti di bianco, su un palcoscenico scarno su cui hanno portato una maschera rituale, un teschio luminescente, petali di rosa e una bacinella d’acqua, i due artisti hanno affrontato il pezzo con coerenza e fantasia, sviluppando il rapporto tra le due voci (che procede in senso additivo dalla prima alla dodicesima parte, da una a dodici note) all’interno di una drammaturgia al tempo stesso ben legata ai testi e capace di sprigionare atti e momenti visionari, culminati con la personificazione di figure di uccelli (galline, colombe) in un dialogo per versi e richiami che Isherwood e la Clementi hanno giocato con grande teatralità attraversando la platea.

Una foto pubblicata da Enrico Bettinello (@enricobettinello) in data: 14 Nov 2016 alle ore 09:27 PST

Quaranta minuti di rara intensità, non a caso accolti da applausi scroscianti, al termine di una serata piovosa e grigia aperta dai toni ombrosi di una esecuzione di The Ghosts of Alhambra di George Crumb, affidata ancora Isherwood insieme alla chitarra di Arturo Tallini e alle percussioni di Rodolfo Rossi.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

I poco noti mottetti e i semisconosciuti versetti diretti da Flavio Colusso a Sant’Apollinare, dove Carissimi fu maestro di cappella per quasi mezzo secolo

classica

Arte concert propone l’opera Melancholia di Mikael Karlsson tratta dal film omonimo di Lars von Trier presentata con successo a Stoccolma nello scorso autunno

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre