Santa Cecilia riapre i suoi concerti al pubblico

Pappano e l’orchestra hanno offerto un’esecuzione particolarmente emozionante e coinvolgente della Patetica di Čajkovskij

Il concerto di riapertura dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Il concerto di riapertura dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Recensione
classica
Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Pappano – Čajkovskij
26 Aprile 2021

Sarebbe stato un concerto normalissimo, se non fosse stato il primo a Roma con il pubblico in sala dopo più di sei mesi. E questo ne ha fatto un evento eccezionale, che era impossibile perdere. Andando verso il Parco della Musica la felicità era mescolata all’apprensione, perché questa non è la prima volta che ci si è illusi che il peggio fosse passato e quindi abbiamo ormai imparato a non fidarci degli annunci di vittoria sul virus. Entrando la felicità si trasformava in malinconia nel vedere la grande sala Santa Cecilia semivuota, ma il fatto che i cinquecento spettatori fossero per la grande maggior parte giovani volontari della Croce Rossa, che indossavano le loro squillanti tute rosse, era emozionante e consolatorio. Prima di iniziare, Antonio Pappano si è rivolto agli spettatori con il suo consueto “caro pubblico”, questa volta non per introdurre con qualche parola le musiche che avrebbe diretto ma per esprimere l’emozione sua e dell’orchestra nel tornare a suonare davanti al pubblico. Che non fosse un discorso di circostanza e che non ci fosse la minima retorica nelle sue parole lo confermava l’esecuzione della “Patetica di Čajkovskij.

Prima si è ascoltata la Sinfonia in re maggiore Wq 183 n. 1  di Carl Philipp Emanuel Bach, il secondo figlio di Johann Sebastian ma il primo per la qualità della sua musica. Questa Sinfonia – che appartiene al gruppo delle sue ultime quattro, composte nel 1775-1776 – non ha certamente la genialità degli sviluppi, la splendida architettura e la varietà di colori delle contemporanee sinfonie di Haydn, ma è tutt’altro che gracile e banale, anzi ha idee originali e atmosfere Sturm und Drang. Ma non si può dire che sia stato possibile apprezzare pienamente i suoi pregi, perché la lotta fra la piccola orchestra e l’enorme sala era impari.

Senza intervallo si passava alla Sinfonia n. 6  di Čajkovskij, un cavallo di battaglia di Pappano e dell’orchestra, che l’hanno già eseguita varie volte a Roma e in tournée. La loro esecuzione è fissata anche in un cd, realizzato però quando Pappano non aveva ancora frequentato così spesso questa sinfonia e la sua interpretazione non aveva la sbalorditiva profondità che ha raggiunto ora. Quel che colpisce è la forza tragica che Pappano dà alla “Patetica”: anzi più che tragica questa “Patetica” è disperata, sconvolta, allucinata, quasi un’anticipazione di un’altra Sesta quella di Mahler, con la differenza che in Čajkovskij tutto è molto più soggettivo e viscerale. Dalla “raggelata solitudine” (cito dal bel programma di sala di Paolo Gallarati) dell’introduzione Adagio all’ “infinito nero” delle battute finali, la “Patetica”  di Pappano sprofonda inesorabilmente nel pessimismo e nello sconforto più cupi e più totali. Evidentemente questo riguarda soprattutto i due movimenti estremi ma anche il secondo e il terzo movimento sono inquietanti: il secondo, una specie di valzer, è perennemente in equilibrio instabile e dà un senso di allucinata vertigine; il terzo, che sarebbe uno scherzo, si trasforma in una cavalcata demoniaca, in un vorticoso e orribile sabba infernale.

In una sala vuota molto probabilmente il direttore e l’orchestra non avrebbero suonato con così totale partecipazione emotiva - senza però lasciarsi mai trascinare dalla foga - e non avrebbero raggiunto questa terrificante forza espressiva, che ha toccato profondamente gli ascoltatori, rimasti in silenzio a lungo prima di esplodere in applausi calorosissimi, che inevitabilmente si disperdevano un po’ nella sala semivuota. Pappano ha chiamato a dividere gli applausi l’intera orchestra, applaudendo egli stesso il primo fagotto Francesco Bossone e il primo clarinetto Alessandro Carbonare, i cui soli nella “Patetica” rimarranno nella memoria.

 

Mauro Mariani

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