Salome in Sicilia e altrove
Bella riuscita musicale, spettacolare messinscena, bel cast per l’opera inaugurale del Maggio Musicale Fiorentino

Riferiamo qui della seconda recita, il 16, dello spettacolo andato su con successo il 13 aprile per aprire il Maggio 2025. Una Salome molto riuscita sul piano musicale, con la direzione di Alexander Soddy che ci è parsa ottima, trascinante senza essere vanamente inebriante, pulita nelle linee di fraseggio come nella messa in luce dei preziosismi della partitura straussiana, capace di farsi benissimo assecondare dall’orchestra, brava come sempre e più di sempre. Il che non ha fatto che rafforzare ciò che già si dice, e cioè che Soddy potrebbe essere in prima posizione per la scelta del nuovo direttore principale, in luogo di Daniele Gatti. Si sa come dietro a nomine di questo tipo ci siano riscontri complessi: vedremo, e certamente il direttore andrà testato ancora, ma il talento e l’esperienza internazionale ci sono.
Sulla messinscena firmata da Emma Dante, invece, il giudizio non è così netto, e lascia comunque spazio all’ammirazione per un talento teatrale forte, capace in alcuni momenti di farsi guardare anche dallo spettatore che sostanzialmente non condivide le linee dello spettacolo. Uno spettacolo fin troppo esuberante, che accumula elementi diversi di varia provenienza: gli armigeri, Narraboth e compagnia, sono pupi siciliani con armature bianche e grandi pennacchi rossi, e come burattini si muovono con mosse angolose; la muscolosissima e non meno scattosa ballerina in tutù ci sembra di averla già vista, ma forse è un ingannevole déja-vu teatrale; il pozzo dove è serrato Jochanaan è la grande bocca del mostro di Bomarzo, dai cui occhi escono fanciulle che cercano di sfuggire ai soldati; gli sfarzosissimi e fantasiosi costumi regali di Erode e Erodiade (firmava i costumi Vanessa Sannino) ci hanno ricordato le fiabe crudeli di Giambattista Basile reinterpretate da Matteo Garrone in Il racconto dei racconti; i giochi di bandiere-farfalle che si aprono e si chiudono intorno a Salome nella danza dei sette veli fanno invece pensare al teatro classico orientale. Il tutto aderisce in qualche modo al bisogno di decorativismo e descrittivismo che è sempre al fondo dell’invenzione di Richard Strauss, ma non certo nelle tonalità decadentiste in cui si è creato il mito di Salome, e della sua inquietante famiglia, fra letteratura, pittura e musica (Flaubert, Moreau, Huysmans, Wilde, Strauss: nel racconto dei Vangeli è sostanzialmente una ragazzina che obbedisce alla mamma), piuttosto in un modo più estroverso e chiassoso, che però in più di un momento il suo effetto lo consegue. Come nella danza dei sette veli che si trasformava in un ballo provocante e appassionato tra Salome e più partners, i pupi siciliani trasformatisi in aitanti tangueri anche troppo piacioni (tutti i figuranti speciali, uomini e donne, erano bravissimi ma forse un po’ sopra le righe).
Stavolta Salome era Lidia Fridman, cantante chiamata al ruolo dalla sua bella voce di lirico pieno e anche dalla sua avvenenza, ma che, ci è sembrato, ha svolto il personaggio, crediamo su indicazione registica, più come una seduttrice esperta quanto vendicativa sui maschi, che come l’adolescente alla scoperta delle proprie perversioni a cui si potrebbe e vorrebbe pensare. Ci sono piaciuti moltissimo e senza riserve il tormentato Jochanaan di Brian Mulligan e l’Erode screziato, beffardo, a suo modo anche lui tormentato, di Nikolai Schukoff. Successo netto e teatro pieno anche in questa seconda recita, come quasi sempre oramai in molti spettacoli, opere, concerti.
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