Ramin Bahrami e il suo Bach

Successo al Teatro Regio di Parma per le Variazioni Goldberg del pianista iraniano

Ramin Bahrami
Ramin Bahrami
Recensione
classica
Parma, Teatro Regio
Variazioni Goldberg BWV 988
14 Aprile 2019

La raccolta bachiana Aria con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali BWV 988 (Variazioni Goldberg), rappresenta un punto di riferimento nell’ambito del repertorio frequentato da Ramin Bahrami, il quale l’ha proposta anche l’altra sera a Parma di fronte al pubblico del Teatro Regio.

Organizzato in collaborazione con la Società del Concerti di Parma, l’appuntamento ha portato per la prima volta sul palcoscenico parmigiano il pianista iraniano impegnato nella rilettura di una pagina che, forse più di altre, ha contribuito alla scoperta del suo talento. Opera che ha segnato nel 2004 il suo debutto con l’etichetta discografica Decca, le Goldberg appaiono infatti come una sorta di “cartina al tornasole” circa la personale cifra espressiva di questo interprete.

Sulla copertina di quell’incisione Bahrami appare rilassato, le mani dietro la nuca, più sereno che assorto, uno stato d’animo che ci è parso di ritrovare anche in questa dimensione dal vivo, dove gli intrecci contrappuntistici orditi da Johann Sebastian Bach lungo le trenta variazioni sono stati attraversati dal pianista con una serenità di fondo che ha nutrito di spontaneità la sua interpretazione.

Una caratteristica che conferma la cifra di questo interprete, il cui rapporto con il compositore di Eisenach ha molto di personale – si veda a proposito il libro Come Bach mi ha salvato la vita pubblicato qualche anno fa da Mondadori – e che si estrinseca in una sorta di lieta ma consapevole leggerezza che, come in questo caso, addolcisce l’approccio più tradizionale e rigoroso tendente ad innestare l’asciuttezza del clavicembalo sui tasti del pianoforte, in favore di una morbidezza e di un trasporto dal carattere a tratti quasi “romantico”.

Un fraseggio che mette in secondo piano – anche trascurandolo un poco – il puro virtuosismo, privilegiando certi abbandoni espressivi, l’uso del pedale, la scelta di tempi tratteggiati per individuare un respiro comune alle diverse variazioni più che per evidenziarne le specificità. Questi sono tra i principali ingredienti delle Goldbergdi Bahrami, ugualmente distanti dagli esempi, tra i tanti, dei vari Leonhardt e Pinnock se pensiamo al clavicembalo, o Hewitt e Schiff per il pianoforte, per non dire di quel vero e proprio totem rappresentato da Glenn Gould.

Una lettura indubbiamente personale quella del pianista iraniano, capace in questa occasione anche di mitigare quelle sfrangiature retoriche che possono manifestarsi quando l’espressione spontanea sfiora un certo sentire affettato. Anche in questo caso, comunque, ad avere la meglio è stato il carattere autentico, per quanto originale, di un’interpretazione la cui sincerità ha conquistato il pubblico presente, generoso di applausi e ripagato da tre brani fuori programma che hanno prima evocato Chopin per tornare a Bach, questa volta celebrato con la sempre amabile carezza del primo preludio dal Clavicembalo ben temperato.

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