Processo a Wagner

La nuova contestata edizione dei Meistersinger von Nürnberg al festival wagneriano di Bayreuth

Recensione
classica
Bayreuth Festspiele Bayreuth
Richard Wagner
31 Luglio 2017

Quando si dice Norimberga, l’associazione con “processo” è quasi automatica. E un processo si celebra nella sala del Festspielhaus di Bayreuth per la nuova produzione in cartellone per l’annuale edizione del festival wagneriano. L’aula è la stessa del 1945 (ricostruita fedelmente dalla scenografa Rebecca Ringst) ma qui l’imputato è uno solo: Wagner Richard. Secondo gli atti preparati dal regista Barrie Kosky, i capi di imputazione sarebbero tre: narcisismo, antisemitismo e megalomania. L’argomentazione dura quanto l’opera dell’imputato allestita secondo i capi di accusa, uno per ogni atto, impaginati come scene slegate della vita del compositore. Il primo ha luogo nella biblioteca di Wahnfried, la residenza dei Wagner a Bayreuth: il padrone di casa si riconosce per l’inseparabile basco nero e i due terranova. Ma segni di Wagner non sono solo in Hans Sachs ma anche nel pedante David e nel rivoluzionario Walther. Ossia Wagner è ovunque. È la tesi ma anche l’antitesi. È il tutto e il suo opposto. Fra gli altri, si riconoscono Cosima/Eva, Liszt/Pogner e l’ebreo Hermann Levi/Beckmesser (al posto del famigerato Eduard Hanslick, meno riconoscibile e comunque estraneo al cerchio magico di Wahnfried). L’antisemitismo segna il secondo atto: la grande rissa del finale è un autentico pogrom squadrista la cui vittima, Beckmesser, si trasfigura nell’effigie dell’ebreo Süss, odioso simbolo della propaganda antisemita di marca nazista. Rimossa l’erba del prato nei pressi di Norimberga, la scena si muta in quella dell’aula dello storico processo ai massimi dirigenti del nazismo, qui sostituiti con la variopinta folla degli abitanti della città bavarese vestiti con cura filologica da Klaus Bruns fra sbandieratori e esuberanza strapaesana nel quadro finale. Liquidato per cialtroneria manifesta il “diverso” Beckmesser (è l’unico maestro cantore cui la folla non tributa un applauso), si scivola nel comizio finale della più politica fra le creazioni wagneriane, mentre l’aula si smonta e una seconda orchestra invade la scena diretta da un esaltato Wagner/Sachs nell’autocelebrazione del trionfante finale. Il verdetto rimane implicito e sostanzialmente lasciato al giudizio dello spettatore. Nell’indubbio talento nel costruire il grande spettacolo e di un certo humor, il pubblico ministero Kosky fa intuire un’ammirazione mista a ostilità per il suo imputato, antropologicamente antipode al “canguro gay di religione israelita” (autodefinizione del regista di origine australiana secondo il "New York Times"). Lontanissima da qualsiasi retorica celebrativa, la direzione musicale di Philippe Jordan punta piuttosto su una dimensione quasi cameristica in cui ogni suono è cesellato con la cura e la sapienza di un orafo medievale. Nella celebrata chiarezza dell’acustica del Festspielhaus di Bayreuth la densità della scrittura wagneriana si coglie nelle singole cellule sonore del complesso intreccio contrappuntistico (e qui va senza riserve elogiata la straordinaria prova dell’Orchestra del Festival). In più, Jordan fa vibrare una corda intensamente malinconica nel magistrale preludio del terzo atto che avvicina alla nostra sensibilità contemporanea l’amara riflessione di Sachs “Wahn! Wahn! Überall Wahn!”. Grande interpretazione. Così come un grande protagonista è Michael Volle che spezza la maschera dell’istrione e infonde al personaggio note di toccante umanità. Grande anche Johannes Martin Kränzle, un formidabile Beckmesser, il cui talento comico non toglie profondità ma piuttosto esalta la tragicità del personaggio. Di rilievo anche la prova di Daniel Behle, tenore di vocazione non wagneriana ma che anche in questo Wagner conquista per l’eleganza di fraseggio e per il calore lirico che trasmette al suo appassionato David. Quanto a Klaus Florian Vogt non si può certo dire che non sappia cantare (sebbene qualche acuto sia faticoso) ma una certa fissità interpretativa e soprattutto il timbro asessuato ci sembrano poco intonati alla tempra focosa di Walther. Buona la prova di Günther Groissböck, un Pogner di peso, e della pattuglia dei Maestri cantori dalla quale emerge Daniel Schmutzhard per una certa foga. Convince meno la componente femminile, specialmente Anne Schwanewilms, grande interprete straussiana ma sostanzialmente estranea al personaggio della giovane Eva (non sembri irrispettoso ma l’impressione è quella di una Marescialla che sforza di essere Sophie). Di grande rilievo la prova del coro del festival, preparato anche in questa edizione da Eberhard Friedrich. Assente il regista (contestato dal pubblico alla prima), qualche sonoro dissenso si manifesta alla fine del secondo atto. Ai presenti consensi unanimi e entusiastici con oltre 10 minuti di applausi.

Note: Nuova produzione del Festival di Bayreuth. Date rappresentazioni: 25, 31 luglio; 7, 15, 19, 27 agosto 2017.

Interpreti: Michael Volle (Hans Sachs, Schuster), Günther Groissböck (Veit Pogner, Goldschmied), Tansel Akzeybek (Kunz Vogelgesang, Kürschner), Armin Kolarczyk (Konrad Nachtigal, Spengler), Johannes Martin Kränzle (Sixtus Beckmesser, Stadtschreiber), Daniel Schmutzhard (Fritz Kothner, Bäcker), Paul Kaufmann (Balthasar Zorn, Zinngießer), Christopher Kaplan (Ulrich Eisslinger, Würzkrämer), Stefan Heibach (Augustin Moser, Schneider), Raimund Nolte (Hermann Ortel, Seifensieder), Andreas Hörl (Hans Schwarz, Strumpfwirker), Timo Riihonen (Hans Foltz, Kupferschmied), Klaus Florian Vogt (Walther von Stolzing), Daniel Behle (David, Sachsens Lehrbube), Anne Schwanewilms (Eva, Pogners Tochter), Wiebke Lehmkuhl (Magdalene, Evas Amme), Karl-Heinz Lehner (Ein Nachtwächter)

Regia: Barrie Kosky

Scene: Rebecca Ringst

Costumi: Klaus Bruns

Orchestra: Das Festspielorchester

Direttore: Philippe Jordan

Coro: Der Festspielchor

Maestro Coro: Eberhard Friedrich

Luci: Franck Evin

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