Orontea nostra contemporanea
L'opera di Cesti alla Scala
Dopo più di sessant'anni torna alla Scala Orontea di Antonio Cesti (nel 1961 andò in scena alla Piccola Scala diretta da Bruno Bartoletti, protagonista Teresa Berganza), con Giovanni Antonini sul podio e la regia di Robert Carsen. Va subito riconosciuto il merito del direttore che, oltre all'esecuzione di gran pregio, ha arricchito il basso continuo a misura del Piemarini; in buca ci sono tiorbe, liuti e chissà cos'altro, a parte i canonici clavicembali e viole da gamba, e tutti contribuiscono a variare e sostenere il colore dell'organico, sistemato quasi al livello della platea. L'opera si regge unicamente sui declamati, non sul virtuosismo canoro delle poche arie. Dal punto di vista drammaturgico Orontea risulta erede della commedia dell'arte con battute che vanno dritto al segno e hanno poco a che fare con la pomposità dell'opera barocca. Carsen ne ha intuito il meccanismo realistico lieve e brillante e ha trasportato la vicenda ai nostri giorni, trasformando la sovrana egizia in una regina del mercato dell'arte e il pittore rubacuori in un artista dropout. Coups de foudre a raffica, siparietti comici, tradimenti, voltafaccia improvvisi sono comunque rispettati e creano gioiosità continua sul palco. Lo spettatore subito dimentica il divario temporale di oltre tre secoli e mezzo e, quando i nodi vengono al pettine con un'agnizione che ai giorni nostri non sta più in piedi (Alidoro può diventare re perché a sua volta di sangue reale), lo mette in conto al gioco del teatro. Carsen, in accordo con Antonini, ha anche evitato il pericolo della metafora barocca, tagliando il Prologo con le disquisizioni fra Amore e Filosofia. Le eleganti scene di Gideon Davey sono perfettamente complici dell'operazione, rappresentano una galleria d'arte con balconata, la parete d'oro che cita quella di Koolhaas della Fondazione Prada, un vicolo sul retro coi bidoni della spazzatura e, scena madre, la vista panoramica dei grattaceli milanesi di City Life con la torre di Uncredit e il Bosco Verticale. Con alla fine una sorpresa, la mostra dei quadri dell'ex Alidoro ora pittore lanciatissimo, che tanto per crogiolarsi l'ego si è ritratto dentro le copie di dipinti di Goya, Botticelli e altri.
Il cast è di buon livello: Stéphanie d’Oustrac (mezzo soprano) è l'Orontea manager, la sua rivale in amore Silandra è il soprano Francesca Pia Vitale, Alidoro è il controtenore Carlo Vistoli col vezzo di lasciarsi scappare ogni tanto un fraseggio scuro, Creonte filosofo ma probabilmente anche capo contabile è Mirco Palazzi, mentre Gelone capo cameriere e ubriacone è Luca Tittoto. Che un po' perché previste, un po' perché è un bravo buffo riesce a scatenare risate a scena aperta, come nella breve aria sulla regina del Marocco.
Al termine applausi per tutti, stimolati anche da Carsen che fa confluire sul palco comparse e maestranze come se tutti stessero ancora festeggiando l'apertura della mostra, senza soluzione di continuità.
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Apprezzate le prove di Chailly, Netrebko, Tézier e del coro, interessante ma ripetitiva la regia di Muscato