Nel nome di Ludwig

Un viaggio alla Beethovenfest di Bonn

Recensione
classica
Cosa meglio dell’integrale delle nove Sinfonie per concludere un “Beethovenfest”? Deve esser stato questo uno dei pensieri che ha ispirato Ilona Schmiel − sovrintendente del Festival con cui annualmente Bonn celebra il musicista ai quale diede i natali − nel preparare il programma di quest’anno, dal quale ha pure lanciato un ponte verso le prossime edizioni, grazie all’integrale delle sonate per pianoforte, che András Schiff completerà l’anno prossimo, e all’integrale dei quartetti per archi, che vedrà impegnato fino al 2014 il Quartetto Borodin. Affidando alla Philharmonia Orchestra e al suo direttore principale Esa-Pekka Salonen (al suo debutto in questa manifestazione) i cinque concerti conclusivi dedicati al ciclo delle Sinfonie beethoveniane, il Festival 2012 ha gettato poi uno sguardo sulla Londra dei recenti giochi olimpici, inserendo in ogni concerto un lavoro contemporaneo scritto rispettivamente da un compositore di ciascuno dei cinque continenti. Dopo quattro settimane e mezzo di concerti di altissimo livello e indiscutibilmente vari nei programmi, mercoledì scorso il direttore finlandese ha aperto il ciclo di chiusura con l’esecuzione della "Prima" e della "Settima Sinfonia", tra le quali era inserito il concerto per violino della coreana Unsuk Chin, la cui complessa parte solistica era affidata a Viviane Hagner. Ieri sera invece è stata la volta della seconda e terza sinfonia, mentre a rappresentare il mondo musicale contemporaneo è stato “Testament”, dell’australiano Brett Dean, un brano − originariamente scritto per dodici viole e ora proposto in versione per orchestra − nel quale il senso del mistero sembra affiorare nel mezzo di una scrittura particolarmente attenta all’incisività del ritmo. Il Beethoven proposto da Salonen è ‘friendly’, per trasmetterlo al pubblico non servono eccessi interpretativi, bastano la forza vitale e le passioni umane che il musicista di Bonn ha inserito magistralmente nella sua musica. Complice un’orchestra impeccabile ed estremamente duttile e una sala dalle dimensioni ancora umane, piena di appassionati chiamati come a un evento tra amici di lunga data, i primi due concerti hanno dato l’idea di una esecuzione del tutto naturale ma non per questo banale o noiosa. Come dire che il finale della Settima Sinfonia − per esempio − è dirompente già grazie al compositore, non occorre enfatizzarlo ulteriormente. Stesso discorso per il movimento conclusivo della "Sinfonia n. 2", i suoi scatti ritmici iniziali sono già una sufficiente molla per spingerlo fino alla grandiosa conclusione. Che l’interpretazione di Salonen riesca a presentare con magistrale nitidezza la scrittura orchestrale e ci parli della la naturalezza della forza beethoveniana, può essere sicuramente considerato un successo. Lo confermano le vette emozionanti raggiunte durante la marcia funebre o durante l’ultimo tempo della Sinfonia Eroica ieri sera. Migliori premesse non potrebbero esserci per i restanti appuntamenti, da questa sera fino a domenica 7, durante i quali verranno presentate le altre sinfonie: la conclusione naturalmente sarà dedicata alla Nona, brano che peraltro ha pure aperto il Beethovenfest 2012, una coincidenza non casuale, piuttosto un segnale di un cerchio che si chiude perfettamente. Del resto siamo in Germania, no?

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