Musiche oblique nella Valle dei Templi

Doppio set da ricordare all'Arcosoli Jazz Festival, con l'FCT Trio di Francesco Cusa e la chitarra sarda di Paolo Angeli

Paolo Angeli
Paolo Angeli
Recensione
jazz

Fuochi d'artificio per la terza e ultima serata dell'Arcosoli Jazz Festival, rassegna giunta all'ottava edizione e che ha luogo nel magnifico scenario della Valle dei Templi di Agrigento.

Inizia l'FCT Trio, con Francesco Cusa (batteria e composizioni), Giovanni Benvenuti (sax tenore) e Ferdinando Romano (contrabbasso). Swing non euclideo, corse a perdifiato in labirinti ornettiani, cubi di Rubik, un omaggio alla memoria privo di qualsiasi attitudine calligrafica; un perfetto esperimento di falsi standard capace di produrre una musica camaleontica, fluida, rigorosa e ipnotica. Il baricentro pare spostarsi continuamente in avanti o di lato, quando l'orecchio crede di averlo colto.

Cusa tiene le redini, lievissimo e cruciale, contrabbasso e sax si muovono su linee e figure oblique e minimali. Gli sbalzi continui e gli agguati al prevedibile possono ricordare il fare ipercinetico di certe partiture zorniane, temperato però in questo caso da una vena piú meditabonda, quasi filosofica. Tra sogni dove si incontrano Don Cherry e Marylin Manson, complotti contro le buone maniere jazz, minuscole voragini e sottili vertigini; il set vola via in un batter d'occhio, plastica dimostrazione dell'antica sapienza artigiana di musicisti che abitano strambe terre di mezzo tra classicità e avanguardia, tra spartito e improvvisazione: i pezzi riservano continui colpi di scena ma mantengono una pulsazione celeste e puntualissima, restando sempre nitidi, asciutti, senza un filo di superfluo addosso, eleganti nel non cadere mai nelle trappole della didascalia. Un trio eccellente, da esportazione.

A seguire Paolo Angeli con la sua chitarra sarda preparata, a presentare l'ultimo lavoro, 22.22 Free Radiohead. Lo strumento-orchestra, col suo arsenale di corde supplementari, martelletti collegati a cavi di bicicletta e suonati coi piedi, eliche azionate da motorini di walkman, é un oggetto-mondo in grado di spalancare universi. Timbricamente ricchissima e inimitabile, questa iperchitarra puó suonare come una kora, un violoncello, sprigionare bagliori noise, farsi basso o percussione. I temi art-pop della band di Thom Yorke fungono da testo e pretesto da cui prendere spunto per improvvisazioni, esplorazioni, navigazioni in un oceano di suono dal quale affiorano detriti e memorie di ogni tipo: folk di mondi reali e paralleli, echi di canti popolari sardi, rumore ispido e delicatissimo, flamenco cubista, venti arabi che fanno sbattere le finestre.

L'approccio di Angeli non é quello del mero interprete, una febbre creativa gli muove testa, cuore e mani, rendendolo artefice di una musica che risale le correnti di molti fiumi per raggiungere la sorgente da cui probabilmente tutto cominciò: il Suono. Tra l'arcaico e il progressivo nel senso piú ampio del termine, il chitarrista gallurese è, oltre che artista sensibile, ascoltatore curioso e attento e dagli orizzonti vasti e questa apertura totale risuona lungo tutto il concerto. Col tempio di Giunone ad incombere benevolo alle spalle, Angeli da solo suona come tutte le lingue della Torre di Babele: i Sonic Youth persi nel suq di Marrakech, un canto a chitarra della tradizione sarda tramutato in un canone à la Björk, ombre di Leo Brouwer, i graffi lirici della chitarra parlante come ci ha insegnato Fred Frith e chissà quanto altro.

Tutto si tiene in questo Mediterraneo globale, reale e metaforico, tradotto in una musica da brividi, che giustamente gira il mondo.

Un plauso sincero ai protagonisti del doppio set (entrambi cresciuti nella fucina creativa della Bologna degli anni Novanta) e a Sandro Sciarratta, contrabbassista, agitatore culturale e direttore artistico di una manifestazione a cui auguriamo lunga vita.

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