"Musica” pensa al futuro con uno sguardo al passato 

A Strasburgo aperto il festival di musica contemporanea con un ritratto di Rebecca Saunders e omaggi a Charles Ives, John Cage e Luigi Nono 

Psychosis 4:48 di Philip Venables (Foto Klara Beck)
Psychosis 4:48 di Philip Venables (Foto Klara Beck)
Recensione
classica
Strasburgo
Festival Musica 
20 Settembre 2019 - 05 Ottobre 2019

Prepariamoci: se il futuro è destinato a confonderci, anche il presente non scherza. Il XX secolo è finito e quell’immaginaria linea ereditaria, che collegava Boulez a Strauss e prima a Wagner e ancora prima a Beethoven e via così, si è sfrangiata in una molteplicità di linee, anche confuse, che un festival orientato al XXI secolo cerca non solo di mostrare nella loro complessità ma anche di far esplodere. Lo promette il neodirettore Stéphane Roth, arrivato dalla Philharmonie di Parigi a Musica, dopo la direzione quasi trentennale di Jean-Dominique Marco. Ha avuto poco più di un anno per mettere a punto il suo primo festival, che quest’anno compie 37 anni proprio come lui, ma lui dichiara grandi ambizioni e invita ad aspettare le prossime edizioni prima di formulare un giudizio sulla nuova gestione, che si propone di “sopprimere le divisioni fra le forme espressive superando le frontiere estetiche”. Del resto sua dichiarata convinzione è che per la generazione più giovane di compositori queste frontiere non hanno più senso. Anche nel dominio della creatività musicale le appartenenze dogmatiche sono roba del passato. 

Per questa edizione la frontiera che concretamente supera è quella territoriale, inserendo nel suo programma anche Al gran sole carico d’amore di Luigi Nono, produzione che inaugurava la nuova stagione del Teatro di Basilea, anche quello fresco di cambio al vertice, con il tedesco Benedikt von Peter appena insediato alla direzione. Guarda indietro dunque Roth prima di proiettarsi verso il futuro e guarda a uno dei lavori per il teatro musicale più militanti di Nono, rivoluzionario ma con salde radici antiche. La rivoluzione è donna. Anzi è madre, sintesi di lotta, vita e amore, e dunque simbolo della “trasformazione del mondo, dei rapporti umani, di sé stessi” secondo lo stesso Nono. Sono appunto tutte donne quelle che esaltate nel racconto tragico della Comune di Parigi, delle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917, delle rivolte operaie nella Torino della Resistenza, delle lotte di liberazione dell’America latina e della guerra del Vietnam. Peccato che di quel lavoro nella produzione di Basilea firmata da Sebastian Baumgarten secondo i moduli più triti della messinscena “alla tedesca” con video e proclami rivoluzionari in proiezione, emergessero soprattutto gli aspetti più datati e scontati, laddove invece questo lavoro si presterebbe a una riflessione più avanzata sul senso dell’utopia con le lenti dell’oggi. Una lettura banalmente “militante” sembrava anche guidare il braccio del direttore Jonathan Stockhammer, saldissimo nel tenere il timone della complessa macchina sonora, ma meno attento a modulare volumi e a lasciare respiro alla dimensione più lirica. 

 

Nell’epicentro del festival, a Straburgo, invece, come sempre l’Opéra national du Rhin partecipava alla kermesseconsacrando ormai da parecchie stagioni il suo titolo di apertura della stagione a una produzione contemporanea. Quest’anno la scelta è caduta su Psychosis 4:48, penultima opera del compositore britannico Philip Venables (l’ultima, Denis & Katya, è andata in scena proprio negli stessi giorni a Philadelphia). Commissionata dalla Royal Opera House di Londra e andata in scena nel più defilato Lyric Hammersmith nel 2016, l’opera arrivava sulla scena dell’Opéra di Strasburgo nello stesso interessante allestimento firmato dal regista Ted Huffmann con la scena di Hannah Clark, che nell’insolito rovesciamento del rapporto fra scena e orchestra (l’orchestra è piazzata sopra la scena e non in buca) esaltava la dimensione claustrofobica e “sprofondata” della depressione. L’opera prende origine dal quinto e ultimo lavoro per il teatro della drammaturga britannica Sarah Kane, motore dell’iconoclasta corrente drammaturgica made in UK di “In-Yer-Face”, morta suicida a soli 28 anni. Privo sostanzialmente di storia, il lavoro mette in scena il lungo delirio di una donna vittima di un pesante stato depressivo, che la porterà al suicidio, come la Kane, fra scambi di messaggi con un medico pietoso ma non troppo e martellanti prescrizioni psicofarmaceutiche. Materiale sulla carta intrattabile, al quale tuttavia Venables è riesciuto a dare vita teatrale attraverso un’eterogeneità estrema di materiali musicali e fonti sonore eterodosse (comprese musiche leggere diffuse da un radiodiffusore e/o da un sintetizzatore di domestica semplicità) accanto a uno strumentario più classico, nel quale le percussioni hanno un ruolo maggiore e rimpiazzano con uno scheletro ritmico gli scambi fra protagonista e medico che si leggono proiettati sulla scena. Richard Barker assicurava l’efficace direzione musicale alla testa degli ottimi strumentisti dell’Orchestre philharmonique de Strasbourg, particolarmente versati nel repertorio contemporaneo. Ben assortito anche il cast vocale, fatto solo di donne, che aveva in Gweneth-Ann Rand una sicura protagonista ben accompagnata da Robyn Allegra PartonSusanna HurellSamantha PriceRachael Lloyd e Lucy Schaufer

 

Classici soprattutto americani in evidenza nel weekend di apertura del festival. Dedicato a Charles Ives, figura a lungo ignorata e oggi uno dei numi tutelari delle avanguardie storiche del XX secolo, si è visto in anteprima al Palais de la musique et des congrès l’interessante documentario The Unanswered Ives di Anne-Kathrin Peitz coprodotto da Arte con la tedesca WDR e la svedese SVT, seguito dal brillante concerto dell’Orchestre national de Metz diretta da David Reiland e aperto proprio da un pezzo di Ives poco eseguito come la Robert Browning Overture, tassello isolato di un progetto mai compiuto che il compositore voleva consacrare alle grandi figure della letteratura anglo-americana. L’interessante programma proseguiva con Void della britannica Rebecca Saunders, che spinge al limite lo spettro espressivo delle percussioni (formidabili i solisti Minh-Tâm Nguyen e François Papirer delle Percussions de Strasbourg) nel dialogo con l’orchestra, e si concludeva con il Bird Concerto, composto nel 2001 dall’americano Jonathan Harvey come singolare omaggio alla passione ornitologica di Olivier Messiaen, che metteva in mostra soprattutto la versatilità del brillante pianista Bertrand Chamayou

Ancora Bertrand Chamayou era il protagonista del concerto-performance consacrato a un altro monumento dell’avanguardia musicale americana del Novecento. Cage au carré proponeva una ricca antologia di pezzi per pianoforte preparato, composti da John Cage fra il 1940 e il 1945, che nelle distorsioni acustiche dello strumento denunciano la fascinazione esercitata sul compositore del gamelan balinese, scoperto poco tempo prima. Quattro pianoforti sistemati ai quattro angoli del palcoscenico dell’Auditorium della Cité de la Musique e de la Danse permettevano a Chamayou di dare continuità alla trama musicale tradotta, secondo l’idea del compositore, in movimenti geometrici dal corpo della danzatrice Élodie Sicard, già borsista della Merce Cunningham Dance Company, storico coreografo legatissimo alla parabola creativa di John Cage. 

 

Fresca del Siemens Music Prize, la britannica Rebecca Saunders era anche al centro del concerto Sweet sooooooooooong della soprano Juliet Fraser con la flautista Helen Bledsoe. “Spin off” di composizioni di più grandi dimensioni, i tre pezzi della Saunders – per soprano solo, Bite per flauto basso amplificato e O Yes & I per soprano e flauto basso, gli ultimi due ispirati alle sperimentazioni linguistiche di Samuel Beckett e James Joyce – formavano lo scheletro all’interno del quale si inserivano gli arabeschi vocali di Wespe di Enno Poppe e il microtrattato sulla fragilità per voce respirazione amplificate di Adiantum Capillus-Veneris I di Chaya Czernowin in analogia alla fragile bellezza della felce capelvenere. Un piccolo programma prezioso e “fisico”, che la soprano britannica ha somministrato in una vicinanza molto intima con gli spettatori della Sala della Borsa, da questa edizione di Musica ripensata per abbattere la classica separazione fra pubblico e interprete. Anche questo è uno dei punti programmatici per il Musica secondo Stéphane Roth, che per le prossime edizioni promette di affrontare anche e soprattutto la questione della ricezione e di lavorare sulla rappresentazione dell’ascoltatore. E propone un tema su cui riflettere: “In Occidente, la musica è legata al concerto, ma non potrebbe avere funzioni inattese? Cerchiamole.” La ricerca continua nelle prossime edizioni. 

 

 

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