Macerata: Chaplin & Leoncavallo

Allo Sferisterio The Circus e I Pagliacci

I Pagliacci (Foto Simoncini)
I Pagliacci (Foto Simoncini)
Recensione
classica
Sferisterio di Macerata
05 Agosto 2022 - 11 Agosto 2022

E’ il mondo dello spettacolo popolare,  quello del circo e del teatro ambulante, il tema della seconda produzione teatrale del Macerata Opera Festival. Pagliacci di Leoncavallo è stato preceduto dalla proiezione di The circus, film muto di Charlie Chaplin, nella versione restaurata della Cineteca di Bologna. Il lungometraggio è stato  proiettato sul muro dello Sferisterio con le musiche originali del 1928 che si credevano perdute, costituite da un’antologia di pezzi, scelti da Chaplin stesso insieme all’allora direttore musicale del Chinese Theatre di Hollywood, Arthur Kay, probabilmente a partire da una raccolta di 50.000 tra motivi e incisi musicali di autori diversi predisposti proprio per servire di accompagnamento ai film.

Per questo lungometraggio, la cui realizzazione fu una tra le più travagliate per Chaplin, in quanto avvenne tra mille traversie durante il divorzio dalla seconda moglie, il grande  regista e attore inglese compose lui stesso una seconda colonna sonora, quella finora conosciuta, nel 1967; la partitura del 1928 è stata recentemente ritrovata in un archivio svizzero e restaurata da Timothy Brock, che alla guida della FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana l’ha eseguita dal vivo insieme a Pagliacci, a Macerata in prima mondiale.

L’idea del regista Alessandro Talevi, che ha curato anche le scene insieme a  Madeleine Boyd, non è stata quella di una mera giustapposizione dell’opera e del film, anche perché nella colonna sonora riecheggiano temi dell’opera di Leoncavallo, insieme a citazioni da Grieg, Bizet, Wagner ma anche da Scott Joplin, Irving Berlin, Gaston Borch, tutti perfettamente in sincronia con le immagini.

Lo schermo utilizzato per la proiezione del film è stato mantenuto nell’allestimento di Pagliacci, che rielaborava quello del 2015 presentato da Talevi sempre allo Sferisterio, facendo da trait d’union insieme al tema comune di essere clown senza volerlo; vi si proiettavano spezzoni di pellicole risalenti all’epoca di Chaplin sempre sul tema dell’amore deluso, affrontato in maniera delicata anche nel film. Una serata divisa emotivamente in due, con il divertentissimo lungometraggio che ha provocato ilarità tra il pubblico per le mille rocambolesche avventure del Vagabondo, e la tragedia della gelosia dell’opera di Leoncavallo, che Talevi ha scelto di appesantire nel finale, dopo il duplice omicidio, con una strage  per mano di Tonio che  spara su tutti e si suicida. L’effetto è stato di sorpresa, sì, ma non troppo gradita neppure dal pubblico.  Per il resto un allestimento dimesso, di cui si sono apprezzate principalmente la plasticità delle scene di insieme con il coro lirico “Bellini”, grazie anche ai costumi di Anna Bonomelli  e alle luci di  Marco Giusti; sulla scena invece tanta confusione, al punto che non si comprendeva la funzione e il senso dei tanti oggetti sparsi nelle zone laterali del lunghissimo palcoscenico, che sembrava ancora in allestimento. Talevi voleva evocare “una specie di borgo stilizzato….su di esso si possono vedere i perimetri che delimitano gli edifici del luogo: edifici reali ma privi di pareti…” , come scrive nelle note di regia; ma tutto ciò non è arrivato allo spettatore.

Sul piano musicale molto apprezzabile la direzione di Timothy Brock, che durante il film ha diretto la complessa e variegata partitura con scelta dei tempi impeccabile, per mantenere la perfetta sincronia della musica con le immagini; gesto chiaro e preciso anche in Pagliacci, nella quale la sua attenzione è stata rivolta in maniera molto efficace anche al palcoscenico. Per Brock, specialista della musica del primo Novecento e nel restauro delle partiture di film muti, Pagliacci ha rappresentato  la prima direzione di un’opera in lingua italiana; incarico che ha affrontato con approccio scientifico, consultando  l’autografo della partitura, conservato presso la Biblioteca del Congresso a Washington DC, e valutandone anche le varianti introdotte nella prassi esecutiva nel corso del Novecento.

Tra le voci, buona l’interpretazione di Fabián Veloz nei panni di Tonio, bel timbro baritonale, e bene anche  Fabio Sartori (Canio), David Astronga (Peppe), Tommaso Barea (Silvio). Rebeka Lokar in Nedda è apparsa la più debole del cast: vibrato faticoso e sfilacciato che comprometteva oltre che l’intonazione anche una chiara dizione.

La serata ha visto la partecipazione di tutti i sindaci della provincia di Macerata ed è stata aperta dall’esecuzione dell’inno nazionale.

 

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