L'Osn Rai incontra il cinema di Fellini

Doppio appuntamento per il centesimo anniversario della nascita con le colonne sonore di Nino Rota

L'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Marcello Rota (Foto Più Luce)
L'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Marcello Rota (Foto Più Luce)
Recensione
classica
Auditorium Rai Toscanini, Torino
Rota/Fellini 100
08 Ottobre 2020 - 14 Ottobre 2020

Nel centenario della nascita di Federico Fellini, nato il 20 gennaio 1920, l’Orchestra Nazionale Sinfonica della Rai offre a Torino un doppio concerto (giovedì 8 e mercoledì 14 ottobre) che ripercorre le musiche dei suoi film composte da quel genio di Nino Rota. Musiche certo arcinote, anche se la possibilità di ripercorrere queste opere alla stregua di un approfondimento monografico è quanto mai rara e ghiotta per chi ama la musica e il cinema.

 I concerti sono stati impaginati in modo diverso: il primo ha offerto il balletto completo dalle musica per il film La strada (1954), composto da dodici numeri quanto mai vari al loro interno; il secondo metteva in programma numerose suite dai film: Lo sceicco bianco, 1952, I vitelloni, 1953, La dolce vita, 1960, Satyricon, 1969, Le notti di Cabiria, 1957, Amarcord, 1973, Il Casanova, 1976, per concludere con Prova d’orchestra, 1979, film anche proiettato in apertura di serata, introdotto da Sergio Toffetti, in un cortocircuito surreale: (un’orchestra che dà un film che critica le eterne dinamiche che ci son al suo interno? Forse per convincerci che i problemi là descritti siano ormai acqua passata? Chissà. (Un po’ come quando i futuristi entrarono per la prima volta in un museo, assorbiti dall’establishment e da esso “tritati”).

La bellezza di tale operazione sta naturalmente nel riuscire ad apprezzare in pieno le colonne sonore disgiunte dai film, ma anche nel poter intendere le musiche per film di Rota come un grande unicum zeppo di rimandi interni che fan pensare un poco ai Leitmotive wagneriani.

E l’Orchestra della Rai sembra fatta apposta per questo repertorio, perfettamente a suo agio, e ben diretta dal bravo Marcello Rota (l’omonimia è casuale) con braccio sicuro, gesto elegante, arguzia e gusto. Certamente il pubblico dovrebbe poter godere più spesso di concerti simili!

 

La strada (Leone d’argento a Venezia, 1954, Oscar come miglior film straniero, 1957), come si ricorderà, è un film ambientato nel mondo del circo e degli artisti girovaghi, dove la musica è sì, strumento di lavoro, ma è anche inscindibile dalla vita. Il coreografo Mario Pistoni ideò in seguito un balletto ispirato al soggetto del film e Rota accettò di scriverne la partitura (prima al Teatro alla Scala, 2 settembre 1966, Carla Fracci nei panni di Gelsomina, allestimento di Luciano Damiani, qui qualche foto). In origine, il balletto avrebbe dovuto andar in scena nella stagione precedente del teatro in abbinamento a Cavalleria rusticana diretta da Herbert von Karajan. La strada è una favola feroce, e solo a tratti leggera e scanzonata, diversa, ma non meno tragica di Cavalleria e Pagliacci (che, come noto, è tradizione affiancare in un dittico).

Le musiche per il balletto dipingono un grande affresco sinfonico perfettamente autonomo dalla creazione filmica, dal quale è tuttavia scaturito: è certo, volendo dare una definizione, musica a programma, ma nel senso migliore del termine. Rota inventa temi che danno vita a veri e propri personaggi, come il motivo legato al numero del Matto, un sogno nel sogno, in una specie di gioco di scatole cinesi; e l’indimenticabile Gelsomina (il bravo soprano Cristina Mosca), una semi-muta che si esprime attraverso la musica in un mormorio, una specie di Sprechgesang senza parole.

Come in una lanterna magica del Settecento, è questa una fantasmagoria di temi e situazioni che s’infilano musicalmente le une nelle altre, ora memori del grande sinfonismo italiano, ora affidate a un motivetto che si potrebbe cantar sotto la doccia e che non ti esce più di testa. Una partitura in cui il compositore assorbe e rideclina ex novo tante e diversissime esperienze musicali, anche geograficamente e cronologicamente lontane fra loro, sue contemporanee o antiche, alte o basse, in un mix che sarebbe piaciuto all’Umberto Eco di Apocalittici e integrati: lo Stravinskij dei tempi del Sacre, la bossa nova, il jazz, la musica delle balere romagnole, Puccini e Martucci, il foxtrot di importazione e i valzerini di provincia, Shostakovich e Prokofiev (e poi: esisterebbe il circo di Fellini senza la tragicità dei Pagliacci di Leoncavallo?). Rota fa proprie queste musiche disparate e le rifonde in tutto organico, in un modo che certamente sarebbe piaciuto ad Alfredo Casella (col quale Rota studiò a Roma). Rota, però, riesce ad assorbire e assimilare, trasformando le suggestioni dei colleghi compositori ancor meglio di Casella: come se, forse, la collaborazione di Fellini fosse stata determinante per dargli uno scopo, una direzione, gli avesse messo dei paletti che hanno giovato all’invenzione creativa.

Meno organico il secondo concerto il quale ha coperto le musiche per i film di Fellini che vanno dal 1952 (Lo sceicco bianco) al 1979 (Prova d’orchestra). Se si immaginano queste brevi suite dai film come specie di ouverture operistiche si può affermare, senza timore di esser smentiti, che Rota abbia appreso la più difficile lezione di Verdi: quella di saper condensare nella prima frase di un’Ouverture tutto quello che seguirà nell’opera. Una qualità che rivela non il mestiere di chi compone musica per film (talvolta bistrattato), ma il talento di un compositore di prima classe: sia che il pubblico conosca il film sia che non l’abbia visto in quella manciata di minuti la musica svela tutto ciò che l’opera filmica contiene.

 

Nei due appuntamenti si può ben metter a fuoco quale siano state le trasformazioni della musica di Rota nel corso degli anni (e, per chi li conosca, l’evoluzione in parallelo dei film di Fellini). In questo secondo concerto fa da padrone Il Casanova, per la sua spiccata originalità (la musica di questo film non assomiglia a quella di nessun’altro, come se fosse una partitura di rottura o svolta) e anche per la sua durata (una suite di 20’, sui 46’ originari, si tratta comunque il brano più lungo della seconda serata, il 14 ottobre). Potrebbe sembrar ovvio a chi consideri la colonna sonora un compendio dell’opera filmica, ma davvero è qui lampante cosa la musica “dica”, o suggerisca, della sinossi, della sceneggiatura, dei costumi, della fotografia. Li ascoltiamo suonati dall’Orchestra della Rai, ma è come se li vedessimo. Sin dal primo brano O Venezia, Venaga, Venusia il setting di Casanova è un brutto incubo che poche vorrebbero consapevolmente abitare. Nessuna donna si sottometterebbe felicemente a quest’incubo sonoro: non è un gioco (o, se lo è, finirà assai male per tutti) e non c’è traccia della leggerezza spensierata dell’eros, sia nel film sia nella musica, totalmente assenti. L’uccello magico è un carillon caricato per esaudire soloi desideri del padrone (una psicosi musicale incentrata da capo a fondo su una ripetizione ossessiva di un tema angosciante che percorre il film e la partitura), una coazione a ripetere, un tic. Non una storia alla mee too, ma un incantesimo in cui le sedotte da Casanova ricordano la Rosaspina della favola omonima, quella principessa che a quindici anni si punse con un fuso e cadde a terra morta, vittima di un incantesimo. Il funerale dell’eros di Casanova è tutto nella geniale invenzione musicale della Poupée Automate, una sorta di bambola gonfiabile cui il seduttore rivolge le sue ultime, patetiche avance. E sebbene la scena geniale in Fellini sia visionaria, ci viene un dubbio: il denoument avviene prima in musica, nell’inconscio, prima che sullo schermo, nei nostri occhi.

 

Amarcord (1973) e Il Casanova di Fellini (1976) sono improntati all’autoanalisi, portando alla luce i fantasmi del regista e forse, per liberarlo, in senso catartico.

Geniale il fuori programma: La passerella d’addio dal film 8 e 1/2. Archiviato il drammone erotico-psichiatrico-sentimentale di Casanova e gli stress sindacali e la pesantezza degli anni di piombo della Prova d'orchestra, come un prestigiatore il direttore Marcello Rota tira fuori dalla sua bacchetta un bis stralunato, leggiadro come un brano del Concerto di Capodanno (e con tutto il pubblico che applaude spontaneamente e - miracolo! - pure a tempo), ricordandoci che «una risata ci seppellirà»!

I due concerti saranno trasmessi su Rai5 il 26 novembre 2020

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