Liegi riscopre Alzira

Giampaolo Bisanti sul podio per l'opera verdiana

Alzira
Alzira
Recensione
classica
Opéra Royal de Wallonie-Liège
Alzira
25 Novembre 2022 - 03 Dicembre 2022

Un’opera breve, due atti ed il secondo dura poco più che mezz’ora, ma il genio di Verdi e la bellezza della sua musica sono già tutti là, tanti i temi che richiamano sue opere successive, dispiace veramente che finisca cosi presto. L’Alzira è un’opera scritta per il Teatro San Carlo nel 1845, quando Verdi aveva poco più che trent’anni, non ebbe grande successo all’epoca, il maestro stesso non ne era entusiasta, ma è davvero una bella sorpresa riscoprirla sopratutto quando è affidata ad una bacchetta che ne sa mantenere la tensione e a voci di qualità come nel caso della produzione di Liegi che vede sul podio Giampaolo Bisanti e svettare, su un cast tutto di buon livello, il davvero eccellente tenore Luciano Ganci come Zamoro. Una nuova coproduzione con i teatri di Lima e Bilbao che, a causa della pandemia, è stata infine rappresentata prima negli altri due Paesi che in Belgio, di cui quindi si sono viste già foto dell’allestimento e l’impressione era positiva di un’Alzira moderna depurata all’essenziale senza esotismi. Invece poi in sala sono proprio le scene ed i costumi del belga Lorenzo Albani e la regia del peruviano Jean Pierre Gamarra quelle che convincono di meno, quest’ultima sopratutto perché piuttosto statica, con gli artisti spesso piazzati a lungo in modo simmetrico, con qualche buona idea (la base che si solleva) ed altre pessime (gli artisti che si abbassano per nascondersi ai lati invece che uscire), ed i riferimenti alla storia moderna del Perù, come le registrazioni audio originali e le foto delle vittime, che risultano inserimenti posticci non ben sviluppati. Tornando alle scene, sono risolte nel primo atto con una distesa di erba secca e un bel gioco di ombre sullo sfondo, mentre nel breve secondo tempo sono sopratutto affidate al gioco di luci, d’effetto, curate dallo stesso regista. I costumi poi sono un mix di stili, da quelli dell’epoca di Verdi alle armature seicentesche, non fanno nemmeno ben comprendere chi sono i peruviani e chi gli spagnoli se non per qualche dettaglio. Che Alzira, più che una colorata inca sia stata qui pensata come una personificazione della Terra di cui impossessarsi senza scrupoli, è un’idea che resta in superficie a livello di colori e a qualche breve riferimento alle violenze fisiche. Per fortuna c’è la musica di Verdi che già nella composita sinfonia iniziale dispiega una grande ricchezza di motivi, offre poi subito delle belle pagine per coro e di bel canto per i protagonisti, con dei finali d’atto tutti insieme davvero suggestivi. Il maestro Bisanti bada al sodo e riesce ad infondere vitalità all’opera, gioca sui contrasti passando con giusto ritmo dal forte al pianissimo, valorizzando le parti soliste dei fiati e dei legni, curando con grande attenzione i cantanti. Alzira è una Francesca Dotto tecnicamente brava e molto godibile nei virtuosismi, non è sembrata però completamente a suo agio nella parte, manca un po’ di volume e di carisma per essere in pieno la volitiva principessa; invece Luciano Ganci è perfetto per la parte del selvaggio ma nobile d’animo Zamoro, amato da Alzira, voce bella, squillante, sana, di buon volume, canta con impeto e si diverte pure ad aggiungere qualche puntatura, ma con eleganza, senza strafare o prevaricare. La parte del baritono, il cattivo Guzmano che morendo diventa buono, è ben resa da Giovanni Meoni in entrambe le sfaccettature del personaggio, e complessivamente bene anche i due bassi che sono i due padri: Luca Dall’Amico è un Alvaro, padre di Guzmano, molto intenso nella supplica finale mentre il belga Roger Joakim è Ataliba, padre di Alzira. La godibilità del coro non è stata uniforme a volte mancando di compattezza, l’orchestra a volta era un po’ troppo forte tanto da coprire le voci, ma nel complesso uno spettacolo che si è concluso con lunghi applausi per gli interpreti.

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