A Liegi Gandhi ricorda Lakmé
Nuova produzione firmata Davide Garattini Raimondi
L’idea di base è di fare ricordare a un Gandhi già anziano avvenimenti successi quando lui era un bambino - la tragica storia d’amore tra la bella indù Lakmé e l’ufficiale inglese Gérald - e l’aggiunta in scena del padre della non violenza consente di sottolineare e di fare riflettere sulle conseguenze nefaste della mancanza di dialogo e di rispetto reciproco tra culture diverse. Non erano queste le intenzioni del compositore Léo Delibes e dei suoi librettisti Gondinet e Gille, che puntavano invece solo a sfruttare, a fine Ottocento, il grande successo delle storie d’ambientazione esotica. E’ invece l’obiettivo che si è prefissato il regista Davide Garattini Raimondi che quindi apre lo spettacolo con in scena un Gandhi anziano e uno bambino e, sopratutto, accompagna tutta la vicenda con la proiezione, sulla testa dei protagonisti, di autentiche frasi di Gandhi scelte opportunamente per mostrare come quelle problematiche di ieri siano, purtroppo, ancora oggi attuali più che mai. E’ l’idea che funziona meglio nel nuovo allestimento, che l’attualizza senza che la vicenda sia temporalmente posticipata all’oggi. Ma le scene di Paolo Vitale non convincono, semplificate nei colori beige, verde e blu, perché i diversi ambienti risultano confusi, poco rispettosi delle indicazioni del libretto e quindi poco comprensibili, poco attraenti. Le tinte accese del mondo indiano sono invece riservate sopratutto ai bei costumi di Giada Masi, che però ha immaginato le fidanzate inglesi in modo troppo caricaturale, con i capelli verdi o rosa e gli ombrellini, sembrano uscite da un film di Mary Poppins. E’ vero che la storia di Lakmé può essere anche messa in scena in modo un po’ fiabesco, ma in questo caso una simile scelta, anche se applicata solo parzialmente, cozza con il realismo indotto invece dalla presenza di Gandhi. Insomma, la sensazione è un po’ di “pasticcio” visuale. Per quanto riguarda invece la parte musicale, delude purtroppo la direzione del maestro Frédéric Chaslin, l’orchestra suona troppo forte, invece di lavorare tutto in finezza ed enfatizzare i timbri e motivi insoliti della partitura leggera di Delibes. Ed anche la tanto attesa prova del soprano belga Jodie Devos nei panni di Lakmé, visivamente perfetta piccola indù, è orfana di qualche nota acuta e manca di morbidezza nelle agilità sopratutto nella celeberrima Air des clochettes del secondo atto, mentre è stata più sicura e fluida nel forse ancora più famoso Duo des fleurs del primo atto. Convince la scelta del mezzo Marion Lebègue come Malika il cui timbro cupo crea un piacevole effetto in contrasto con quello luminoso della Devos . Abbastanza bene il tenore francese Philippe Talbot come Gérald dai bei slanci lirici, languido e appassionato, i suoi duetti con Lakmé sono tra i momenti migliori dell’opera, sopratutto quando circondati da fiammelle. Assai ben interpretato dal baritono belga Lionel Lhote poi il personaggio del vendicativo ed intransigente bramino Nilakantha, padre di Lakmé, la cui ira esplode ferma e convincente e la cui contrapposizione a Gandhi ben evidenziata anche con gli sguardi. Di buon livello in generale tutti gli altri interpreti, e merita in particolare una citazione l’attore Rudy Goddin come perfetto Gandhi anziano. Importante e piacevole il ruolo del balletto, con le coreografie di Barbara Palumbo, d’effetto interessante in particolare quello delle bayadère del secondo atto qui proposto con ombre di ballerini e soldati dietro un velo gigante rappresentante la bandiera inglese, meno convincenti invece quelli con le luminescenze dipinte sui corpi. Compatto il coro diretto da Denis Segond. La versione della Lakmé qui proposta non è quella originale andata in scena all’Opéra Comique nel 1883 con i dialoghi parlati, pochi per la verità, ma la successiva con recitativi accompagnati.
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