Leone d’Ungheria

La Biennale Musica omaggia Kurtàg con il riconoscimento alla carriera

Recensione
classica
Biennale Musica
27 Settembre 2009
Con poche parole, emozionato e schivo, leggendo qualche verso di Jacopone da Todi, György Kurtàg ha ricevuto dalle mani del Presidente Baratta e del direttore artistico Luca Francesconi il Leone d’Oro alla carriera di questa Biennale Musica. Un riconoscimento, superfluo ricordarlo, non solo meritatissimo, ma anche in grado di evidenziare con straniante evidenza come il Novecento sia stato una dolente scatola della memoria da scavare a fondo. Tre i pezzi di questo omaggio. Apertura con "Hipartita" per solo violino, affidato alla brava Hiromi Kikuchi: un lavoro non facilissimo, che richiede grande attenzione allo spettatore nel cogliere i tanti fili sotterranei che legano i frammenti sonori su cui la composizione è costruita, ma che ripaga lo sforzo con passaggi di lucidissima emotività. Ottima anche la lettura di un lavoro strepitoso come "Grabstein für Stephan" per chitarra (l’ottima Elena Casoli) e gruppi sparsi di strumenti, compreso un gruppo di incursori strombazzatori: qui l’alchimia tra le zone sonore è di livello altissimo e ne esce uno struggente risuonare di ombre malinconiche. Dopo la consegna del premio, si chiude con "…Concertante…", lavoro forse meno empaticamente suggestivo, ma altrettanto magistrale nel collegare le tracce del violino e della viola con quelle dell’orchestra. Zoltàn Pesko si è mostrato direttore sensibile, anche se poco chiaro negli attacchi, con la conseguenza di mettere qualche volta in difficoltà l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. La bellezza della musica non ne ha però risentito troppo, un Leone, si sa, difficilmente si mette in gabbia!

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