Le suggestioni della luce e della materia sonora a Milano Musica

Ampia partecipazione di pubblico per la conclusione del Festival, dedicato quest’anno a Luca Francesconi

Concerto Agon (Foto Margherita Busacca)
Concerto Agon (Foto Margherita Busacca)
Recensione
classica
Teatro Franco Parenti, Milano
28° Festival Milano Musica
02 Ottobre 2019 - 25 Novembre 2019

La prima cosa da sottolineare – parlando del concerto con cui si è concluso il 28° Festival di Milano Musica – è l’affluenza del pubblico, che di fatto ha riempito buona parte della Sala Grande del Teatro Franco Parenti. Il Festival dunque continua a richiamare un proprio pubblico, un pubblico che è cresciuto nel corso degli anni, spinto evidentemente dalla curiosità nei confronti della musica contemporanea. È possibile che non si tratti dello stesso pubblico che frequenta solitamente i concerti di musica classica e che magari è meno propenso ad andare oltre le proprie abitudini di ascolto, dunque per rinnovare il repertorio quella di puntare verso una diversa platea di spettatori può rappresentare una strada più che percorribile.

L’edizione 2019 del Festival, incentrata sulla personalità artistica del compositore milanese Luca Francesconi, ha avuto un suo epilogo caratterizzato dalla partecipazione di AGON acustica informatica musica, centro di produzione e ricerca musicale con le nuove tecnologie fondato nel 1990 anche dallo stesso Francesconi. Contraddistinto da alcune prime esecuzioni, il programma si è aperto con un lavoro di Michele Tadini che sfruttava l’Arpa di luce, un’installazione di Pietro Pirelli su cui lo stesso Tadini agiva per ottenere, grazie all’elettronica, diversi effetti sonori. Risultato certamente molto suggestivo nell’effetto complessivo, ma meno convincente nella sostanza, essendosi potuto ottenere lo stesso risultato agendo su un qualsiasi strumento o dispositivo collegato al computer che ne elaborava i segnali. Oltre a quello di Tadini, in prima esecuzione assoluta è stato proposto anche Novità di Alessandro Perini, mentre era in prima italiana verso amnesia di Silvia Borzelli. Qui la costante trasformazione della voce del violoncello ha contraddistinto un brano il cui titolo poteva anche alludere all’aver voluto intenzionalmente dimenticare le modalità più consuete di utilizzare lo strumento ad arco. Il momento centrale del concerto è stato rappresentato dalle due composizioni di Francesconi, Animus e Animus IIb, una testimonianza rilevante dell’inquietudine che segna la sua ricerca artistica, tutt’altro che disposta a arrestarsi di fronte all’inesplorato. Se il primo lavoro, del 1995/96 per trombone e live electronics, ha dato conto della continua destrutturazione di un linguaggio che punta sempre più verso la materialità dello strumento, seppur trasfigurata dall’elettronica, il secondo – del 2018, in prima esecuzione italiana – si è ‘giovato’ di un inconveniente tecnico che ha impedito il previsto uso del computer. Ecco dunque, in versione inaspettatamente unplugged, l’esplorazione delle possibilità di un violoncello a tratti quasi ripiegato verso la propria intimità espressiva, a momenti capace viceversa di rivoluzionare in modo sovversivo l’intera gamma dei propri suoni. Insieme a Michele Tadini e Massimo Marchi, impegnati nella complessa regia del suono, molto bravi i due interpreti, Francesco Dillon al violoncello e Raffaele Marsicano al trombone, quest’ultimo protagonista anche nel lavoro di Giacomo Manzoni che ha concluso il programma. Quanta oscura selva trovai su testi di Dante – per trombone processori elettronici e nastri magnetici – ha riportato il pubblico indietro di quasi un quarto di secolo, il lavoro è del 1995, ma ha anche dato una commovente testimonianza dell’impegno dell’artista milanese, presente in sala, al quale si deve non solo una profonda ricerca delle potenzialità espressive di qualsiasi materiale sonoro ma anche un impegno didattico presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” grazie al quale si sono formati diversi artisti delle generazioni successive.

 

 

 

 

 

 

 

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