L’altro volto di Giuditta

Al Nationaltheater di Monaco di Baviera Christoph Marthaler propone la sua versione dell’ultimo lavoro operistico di Franz Lehár con numerosi innesti di compositori dell’epoca

Giuditta (Foto Winfried Hoesl)
Giuditta (Foto Winfried Hoesl)
Recensione
classica
Monaco di Baviera, Bayerische Staatsoper (Nationaltheater)
Giuditta
18 Dicembre 2021 - 06 Gennaio 2022

Sono molte le affinità storiche che legano Giuditta e Al cavallino bianco, come del resto molte delle operette prodotte agli albori del nazionalsocialismo. A differenza dell’operetta di Benatzky, Giuditta, ultimo lavoro di Franz Lehár, nonostante le dichiarate ambizioni, un certo seguito mediatico (la prima ebbe una diffusione radiofonica in 120 paesi, fatto allora senza precedenti) e un iniziale consenso, non conobbe una fama durevole come altre celebri operette del compositore austriaco, Vedova allegra in testa. La “musikalische Komödie” in cinque scene entrò nel repertorio della Staatsoper di Vienna, dove fu presentata per la prima volta nel gennaio 1934 con la direzione dello stesso compositore, ma l’Anschluss del 1938 ne provocò il declino, con la fuga dei suoi due celebrati protagonisti, il tenore Richard Tauber e del soprano Jarmila Novotná, entrambi di sangue ebreo, e lo sterminio ad Auschwitz di Fritz Löhner-Beda, autore del libretto con Paul Knepler.

Al solito, nemmeno nella trama di Giuditta traspare molto delle inquietudini del periodo. L’ambientazione mediterranea, fra Italia meridionale e la costa Libica, è piuttosto l’occasione per aggiungere un tocco di esotismo alla leggendaria vena melodica fuori dal tempo di Lehár, qui alla fine della sua parabola creativa ma ancora molto rigogliosa. Quanto alla trama, Giuditta è una donna sposata ma non troppo felicemente con Manuele, l’uomo che non esita ad abbandonare per cedere alle lusinghe dell’ufficiale Octavio, con il quale si imbarca verso il villaggio nordafricano dove si trova la guarnigione dell’uomo. Presto però il dovere chiama e Octavio, come Don José con Carmen, abbandona Giuditta pur fra qualche tormento interiore. E come Don José anche Octavio diserta e la cerca, ritrovandola ballerina di successo in un locale notturno, nel quale la donna si concede volentieri a un tale Lord Barrymore in cambio di una collana di perle. Quattro anni dopo, Octavio divenuto pianista si ritrova a suonare per una cena romantica fra un tale duca e la sua amante, Giuditta. Nonostante Giuditta rassicuri Octavio che i suoi sentimenti sono intatti, nel cuore Octavio non c’è più spazio per l’amore. E quando il duca e la donna terminano la cena e abbandonano la sala, anche Ottavio si allontana, in un finale amaro come quello della Rondine pucciniana.

Rispetto allo spettacolo di intrattenimento firmato da Gilles Rico per Al cavallino bianco allestito all’Opéra di Losanna, alla Bayerische Staatsoper Christoph Marthaler e il suo drammaturgo di fiducia Malte Ubenauf hanno seguito un percorso del tutto diverso, che non vuole ignorare il contesto storico. Non nuovo a incursioni nel mondo dell’operetta (memorabili gli Offenbach rivisitati alla sua maniera della Vie parisienne alla Volksbühne di Berlino nel 1998 e della Grande Duchesse de Gérolstein a Basilea nel 2009), di questa Giuditta il regista svizzero vuole mostrare l’altro volto dell’operetta, quello meno gioioso degli anni tormentati e per niente luminosi fra le due guerre mondiali, con nazifascismi rampanti e atroci violenze coloniali. Nell’impianto scenico fisso “metateatrale” di Anna Viebrock – ripresa letterale di quello per 44 Harmonies from Apartment House 1776 prodotto sempre con Marthaler nel 2018 allo Schauspielhaus di Zurigo ma qui con nuovi costumi intonati allo spirito dei tempi che si rappresentano – vengono impiegati solo frammenti dell’originale, completamente decontestualizzati in un plot che, eliminati i dialoghi di Knepler e Löhner-Beda, intreccia la parabola sentimentale di Giuditta e Ottavio non già con le convenzionali schermaglie amorose della coppia “leggera” di Anita e Pierrino dell’originale, ma con le vicende tragiche di Anna e Sladek, i due protagonisti del visionario dramma Sladek o l’uomo dell’armata nera di Ödön von Horvát di solo qualche anno precedente alla Giuditta. E mentre la passione della coppia protagonista si esprime attraverso le melodie fuori dal tempo di Lehár, la lingua musicale della coppia antagonista è fatta, invece, di un composito mosaico di Lieder d’epoca di Korngold, Berg, Schönberg, Ulmann, Eisler, Křenek oltre che di pezzi orchestrali di Bartók, Šostakovič e Stravinskij per restituire il colore dell’epoca.

La ristrutturazione drammaturgica, fatta di contrasti anche musicali violenti, combinata con le tipiche presenze surreali, che da sempre abitano le produzioni del regista svizzero, produce un effetto naturalmente straniante e in larga misura disturbante, soprattutto in chi si aspetta le classiche atmosfere da operetta sognanti e fuori dal tempo (stupisce poco che alla prima non siano mancati sonori fischi a tutto il team registico). La produzione al Nationaltheater di Monaco per l’Opera di Stato Bavarese è comunque di alto livello a cominciare dall’esecuzione musicale dell’impeccabile Orchestra di Stato Bavarese diretta dal direttore Titus Engel con gusto sempre perfettamente intonato agli umori mutevoli del composito paesaggio sonoro. Ottima anche la compagine di canto, che trova in Vida Miknevičiūtė (Giuditta) e Daniel Behle(Octavio) due protagonisti “da operetta” vocalmente impeccabili e perfetti nella rappresentazione di una coppia saldamente quanto stolidamente aggrappata a un mondo in decomposizione. Non meno ruscite le prove di Kerstin Avemo (Anna) e Sebastian Kohlhepp (Sladek), fragili e allucinati come i tempi che interpretano. Pertinenti gli interventi di Jochen Schmeckenbecher (Il luogotenente Antonio) che si fonde armoniosamente con la stralunata compagine di collaboratori abituali di Marthaler, Ueli Jäggi (Knorke), Raphael Clamer (Horst), Magne Håvard Brekke (Manuele e il duca), Marc Bodnar (Lord Barrymore), Liliana Benini (Girl), Altea Garrido (La venditrice di palloncini), Olivia Grigolli (Mademoiselle Maquillage) e il pianista muto Bendix Dethleffsen. La coppia di camerieri molleggiati Joaquín P. Abella e Sebastian Zuber aggiunge un tocco surreale come in un insensato musical sulla fine del mondo.

Esaurite le recite in programma a Monaco di Baviera, si può rivedere lo spettacolo sulla piattaforma di Arte concert.

 

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