La Rondine torna alla Scala
Milano: Chailly sul podio, regia di Irina Brook
Ci son voluti trent'anni perché La rondine tornasse alla Scala (l'ultima volta fu diretta da Gianandrea Gavazzeni nel 1994) e ora ricompare grazie all'amore di Riccardo Chailly per Puccini, unito alla sua diligenza critica. La direzione è risultata vigorosa, ha messo in risalto l'estrema raffintezza dell'orchestrazione, forse la più sofisticata del compositore, che dissemina in partitura ammiccamenti a se stesso, tempi di valzer niente affatto viennesi, di fox-trot, tango, polka e chissà di quanti altri ballabili che sfuggono.
Ma ha finito per privilegiare i momenti più roboanti della partitura a discapito delle pagine cameristiche e dei tanti passaggi sospesi che avrebbero avuto bisogno di maggiore levità. Da parte sua Irina Brook, che firma la regia, ha superato il dilemma se La rondine sia un'operetta o un'opera preferendo la disinvoltura del music hall di cui è appassionata, complice Patrick Kinmonth che propone una scenografia naïve da spettacolo di provincia, con ghirlande di lampadine come boccascena, dove intervengono boys multicolori alla Broadway e dame-fiore dai cappelli giganteschi in coreografie utili a coprire le ingenuità drammaturgiche.
La regista porta in scena anche il proprio doppio (impersonato dalla ballerina e coreografa Anna Olkhovaya), che gironzola prendendo appunti, suggerendo gestualità agli interpreti e quanto serve a costruire a vista lo spettacolo. Una formula di teatro nel teatro azzeccata perché finisce per convincere lo spettatore come sul palco possa accadere di tutto e le inconguenze vadano accolte con un sorriso.
Succede così nel primo atto; nel successivo il doppio rinuncia invece a dirigere la scena perché il ballo Bullier si trasforma in una sorta di suo incubo notturno, mentre nel terzo atto la sua partecipazione è tale da mettersi a consolare Magda e addirittura a commuoversi alla lettura della lettera fatidica.
Nel finale la finzione teatrale svanisce quando si alza il fondale con la marina e lascia posto al retro del palcoscenico nudo con una porticina con la scritta exit da cui la protagonista sparisce. Nonostante le dichiarazioni di Irina Brook che si tratterebbe di un gesto da donna libera che al matrimonio preferisce l'indipendenza, rimane tuttavia la convinzione che per Magda abbia avuto maggior peso la prospettiva di dover rinunciare alla Ville Lumière e a chi le paga i conti, o per lo meno il terrore di una futura suocera col rosario in mano.
Resta comunque il fatto che le campane del finale risuonano come uno sberleffo: le posizioni sociali sono quelle che erano, la mantenuta "contaminata" (sic) rimane tale, così la cameriera che ha fatto fiasco come canzonettista.
La migliore del cast è senza dubbio Mariangela Sicilia che dà a Magda lo spessore delle eroine pucciniane, grazie a una vocalità agile e controllatissima; al suo fianco Rosalia Cid è perfettamente a suo agio nei panni di una Lisette un po' svampita alla Monroe. Gli interpreti maschili sono meno convincenti, Giovanni Sala (Prunier) è forzatamente disinvolto in scena e si riduce a figurina da avanspettacolo, al contrario di Matteo Lippi vocalmente coretto ma che rimane impacciato nei panni di Ruggero. Più che dignitoso Pietro Spagnoli, un Rambaldo signorile che accetta il tradimento col profetico "Possiate non pentirvene!"
Applausi a ogni exploit di Mariangela Sicilia durante lo spettacolo, come pure per Rosalia Cid, e rumorose ovazioni per tutti a fine serata, con buu diffusi ma presto svaniti all'apparire di Irina Brook.
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