La Resurrezione di Mahler all’Accademia di Santa Cecilia

Inaugurata la stagione sinfonica 2021-2022 con una bella esecuzione della seconda sinfonia di Mahler diretta da Jakob Hrusa

 Jakob Hrůša e l'Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Jakob Hrůša e l'Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Recensione
classica
Roma, Sala Santa Cecilia del Parco della Musica
Concerto Jakob Hrůša
07 Ottobre 2021 - 09 Ottobre 2021

Nominato solo da pochi mesi direttore ospite principale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Jakub Hrůša è stato chiamato ad inaugurare la nuova stagione sinfonica: un segnale di grande considerazione nei confronti del quarantenne direttore ceco.

Già nei primi minuti della Sinfonia n. 2  si intuisce che la sua interpretazione di Mahler non è “teatrale” come quella di Pappano, né “psicanalitica” come quella di Sinopoli, che scandagliava non soltanto la partitura ma anche la psiche di Mahler, né “matematica” come quella di Boulez, che analizzava con razionalità scientifica queste complesse e gigantesche architetture. Hrůša è nettamente più giovane di loro ma - forse è un segno dei tempi - ritorna ad un Mahler più tradizionale, a partire dal suono “antico” che chiede all’orchestra, rotondo, equilibrato, sensibile alle sfumature più delicate, un po’ nel solco della tradizione viennese e delle altre ex capitali dell’impero asburgico, come Praga, dove egli ha studiato. E si fa guidare dalle emozioni e dal sentimento nei meandri di questa vastissima e complessa partitura, senza privilegiare un approccio piuttosto che un altro ma dando attenzione e spazio a tutti i gli aspetti anche contraddittori della musica di Mahler.

Così nel primo movimento di questa gigantesca sinfonia Hrůša può raggiungere un’estrema tensione sonora e drammatica, che però non soffoca le oasi di bucolica serenità, molto evidenziate dal lui, che vi scopre echi di musica popolare sorprendentemente vicini a Dvorak, a ricordarci che, nonostante le enormi differenze che li separano, entrambi i compositori sono nati e cresciuti in due villaggi di quella che oggi è la Repubblica Ceca.

Il secondo movimento è un tenero e leggermente malinconico Laendler,  corrispettivo popolare del valzer, di cui Hrůša sottolinea squisitamente il languido tono viennese, tanto che a tratti si crederebbe di essere capitati in una heuriger  di Grinzing, le osterie del sobborgo di Vienna dove si va a bere il vino novello. Tutto in questo movimento è così smaccatamente semplice da far sospettare che vi si celi un significato segreto. Questo sospetto si rafforza nel terzo movimento, in cui Mahler riprende un suo Lied  giovanile, La predica ai pesci di Antonio da Padova,  ma deviando la scherzosa leggera ironia del Lied  verso un marcato sarcasmo, grottesco e amaro, anch’esso ben colto dal direttore. Secondo Mahler stesso questi due movimenti riflettono lo stato d’animo di chi, dopo aver accompagnato una persona cara alla tomba, dapprima evoca affettuosi e carezzevoli ricordi ma poi torna al vacuo girotondo della vita consueta. Hrůša sottolinea molto come questi due relativamente brevi movimenti centrali costituiscano un secondo blocco della sinfonia, inserito tra la cerimonia funebre del primo movimento e il mondo ultraterreno del quarto e del quinto movimento, in cui interviene la voce a cantare la resurrezione. Viene prima l’ingenua resurrezione sognata da un animo semplice nel breve Lied  del contralto La luce celestiale,  poi la resurrezione evocata dai versi solenni di Klopstock - ritoccati da Mahler stesso per mitigarne la connotazione religiosa e cristiana - intonati dal soprano, dal contralto, dal coro misto sui nell’enorme e dall’enorme orchestra nell’articolato e grandioso finale di circa trentacinque minuti di durata.

Il limite di questa interpretazione è che la Sinfonia n. 2 di Mahler diventa così un seguito di episodi, spesso intensi e coinvolgenti, che non riescono a trovare una superiore unità. Si sono ascoltate interpretazioni più intense, che afferravano l’ascoltatore fin dalle prime battute e lo coinvolgevano anima e corpo senza un attimo di respiro per un’ora e mezza, ma anche quella di Hrůša è un’interpretazione suggestiva e affascinante. Alla fine il pubblico è scattato in un applauso entusiastico - magari si poteva attendere qualche secondo, per lasciare che si spegnessero sia la risonanza acustica sia la risonanza emotiva di questa musica - indirizzato non solo al direttore ma anche all’orchestra, alle due cantanti soliste Rachel Willis-Sorensen e Wiebke Lehmkuhl, al coro e al suo maestro Piero Monti.

 

 

 

 

 

 

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