La leggenda dei cowboy tossici

I Cowboy Junkies, cult-band da Toronto, incantano Maison Musique a Rivoli.

AG

22 novembre 2012 • 2 minuti di lettura

Maison Musique Rivoli

Vengono da Toronto, i Cowboy Junkies, ma come molti altri illustri canadesi (Joni Mitchell, Neil Young, la Band) hanno fatto del country-folk a stelle e strisce il loro credo musicale. Americana, dunque, ma attraversata a più riprese da non scontate venature blues e indie rock: la ragione sociale del gruppo, d’altronde, parla chiaro, accostando ai “bovari” della tradizione statunitense i “tossici” che hanno fatto grande la storia del genere musicales più popolare del Novecento. Ed è con questa meravigliosa commistione di stili – perfezionata nel corso degli anni ma vincente sin dagli esordi: si pensi al capolavoro del 1988 [i]The Trinity Session[/i] – che i Cowboy Junkies si sono presentati alla Maison Musique di Rivoli, alle porte di Torino, per un concerto che rimarrà impresso a lungo nella memoria dei presenti. Capace di trasmettere grande malinconia, ma anche, talvolta, vibrazioni più leggere e autoironiche («Adesso faremo alcuni pezzi nuovi, quindi potete approfittarne per mandare un sms a vostra mamma. Ma non vi preoccupate: dopo la pausa suoneremo i classici»), la band di Margo Timmins (voce angelica come poche ce n’è al mondo) e fratelli ha ipnotizzato e ammutolito l'auditorium per due intensissime ore, tra cover di Vic Chesnutt, Townes Van Zandt, Neil Young e Velvet Underground e brani autografi. Un’esibizione sospesa nel tempo e nello spazio, tra passato e presente, fra campagna e città, con un finale da lacrime agli occhi: ascoltare una dietro l’altra "Misguided Angel" e "Don’t Let It Bring You Down" è l’ideale per tornarsene a casa soddisfatti e addormentarsi con dolcezza. Il sito di Maison Musique presentava il concerto dei Cowboy Junkies come un “evento storico”. Ma forse il concetto di "storia" sta persino stretto a una band che, pur nell’indifferenza quasi trentennale del grande pubblico e delle classifiche di vendita, sembra già essere diventata "leggendaria", almeno per i suoi seguaci (che, anche in Italia, non sono pochi: lo conferma l'ottima presenza di pubblico).