La fresca eleganza di Serse

Una bella rilettura dell’opera di Händel firmata da Ottavio Dantone e Gabriele Vacis.

Serse (Foto A. Anceschi)
Serse (Foto A. Anceschi)
Recensione
classica
Teatro Valli, Reggio Emilia
Serse
29 Marzo 2019 - 31 Marzo 2019

L’eleganza dell’interpretazione musicale di Ottavio Dantone e la freschezza della visione drammaturgica di Gabriele Vacis hanno caratterizzato l’allestimento del Serse di Georg Friedrich Händel, andato in scena al Teatro Valli di Reggio Emilia in una nuova produzione promossa da Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Ravenna Manifestazioni.

Una rilettura, basata sull’edizione critica curata da Bernardo Ticci, che ha alleggerito l’impianto dell’originario dramma per musica in tre atti HWV 40, sfrondando non poco una vicenda che ha conservato comunque la sua pregnanza narrativa, godendo in questa messa in scena di un passo drammaturgico serrato e coinvolgente.

L’impianto scenico razionale – scene, costumi e luci di Roberto Tarasco – ha riservato un’attenzione particolare al dato musicale, con l’orchestra più elevata rispetto alla tradizionale “buca”, i cantanti subito sopra l’orchestra ospitati in uno spazio perlopiù di proscenio, e un terzo e più ampio livello del palcoscenico abitato dai movimenti di un gruppo di giovani impegnati a commentare con variegate pantomime le vicissitudini amorose narrate sotto di loro.

Immersi in un astratto ambiente settecentesco, i diversi personaggi hanno così tratteggiato gli intrecci amorosi sui quali si basa la vicenda assecondati dai plastici commenti disegnati da coreografie più o meno strutturate, che vedevano impegnati ora singoli o piccoli gruppi di giovani, ora la compagine al completo, intenti a mimare gli “affetti” espressi dal canto o a sottolinearne il contenuto giocando con oggetti-simbolo come ombrelloni, grandi sfere, trasparenti pannelli in plexiglass, piante e rami frondosi.

Un dato, quello legato alla natura, che ha segnato la visione registica, a partire dall’omaggio al platano che apre l’opera attraverso la celebre aria “Ombra mai fu”, una presenza costante declinata in varie forme nel corso della rappresentazione, comprese le belle proiezioni che hanno animato un grande schermo le cui immagini si alternavano alla presenza dei figuranti-danzatori sul palcoscenico. Un controcanto visivo suggestivo, che si è rivelato solo un poco ridondante solo quando i primi piani dei ragazzi hanno accompagnato il personaggio di Atalanta nell’aria “Un cenno leggiadretto”, offrendo un rimando al contenuto del canto talmente coerente e presente da rischiare di distogliere l’attenzione dal canto stesso.

Per il resto l’impianto registico ha saputo offrire il giusto spazio al dato musicale, gestito con gusto ispirato da Dantone, alla guida dell’ensemble strumentale di un’Accademia Bizantina capace di assecondare con efficacia il direttore nelle scelte dinamiche e agogiche che hanno caratterizzato un’esecuzione particolarmente elegante e a tratti avvincente.

Un carattere, quello appunto espresso dal versante musicale, che ha tratto giovamento anche da una compagine vocale affiatata e ben assortita, con il Serse scenicamente sicuro e vocalmente trascinante di Arianna Vendittelli, il solido Arsamene di Marina De Liso, l’accurata Amastre di Delphine Galou, la salda Romilda di Monica Piccinini e la brillante Atalanta di Francesca Aspromonte. Una compagine vocale femminile completata, sul versante maschile, dalla bella voce profonda di Luigi De Donato nei panni di Ariodate e dal carattere comico del personaggio di Elviro restituito con garbo da Biagio Pizzuti.

Un allestimento, in sintesi, efficace e ben riuscito, in equilibrio tra il dramma amoroso e il dato ironico gestito con gusto misurato, e che il pubblico, messo a confronto con un titolo di certo non frequente nelle nostre programmazioni, ha salutato con un convinto e meritato consenso.

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