Nabucco distopico a Reggio Emilia
Successo per l’Abigaille di Torbidoni e per Zanetti sul podio
04 novembre 2025 • 4 minuti di lettura
      Teatro Valli, Reggio Emilia
Nabucco
31/10/2025 - 02/11/2025Dopo il debutto a Modena, “s’appressano gli istanti” (per citare il libretto di Solera) anche al Teatro Valli di Reggio Emilia (che ha coprodotto lo spettacolo insieme ai Teatri di OperaLombardia, Azienda Teatro del Giglio di Lucca e al già menzionato Teatro Pavarotti-Freni) del nuovo allestimento di Nabucco curato da Federico Grazzini. La regia ambienta la guerra tra l’oppressore assiro e l’oppresso ebreo in un mondo ucronico e distopico, come chiariscono le scenografie minimali di Anna Bonomelli (due grandi pareti laterali imbrattate di sangue che ricordano i calchi dei corpi delle vittime della catastrofe nucleare giapponese) e i suggestivi effetti di luce e – soprattutto – ombre (a cura di Giuseppe Di Iorio). Vediamo dunque gli assiri in abiti paramilitari, mentre gli ebrei vestono indumenti laceri e dai colori terrosi, quasi ripresi dal film Brazil (1985) di Terry Gilliam (i costumi, sostanzialmente ben definiti e credibili, portano la firma sempre di Bonomelli). La messinscena convince solo a tratti: è apprezzabile assistere al violento dramma che si consuma durante la Sinfonia avanti l’opera, in una scena che si sviluppa a partire dalle sensazioni ritmiche e melodiche suscitate dalla musica stessa (operazione da promuovere, se consideriamo tutte quelle regie “modernizzanti” che aggiungono o stravolgono senza curarsi dell’aspetto musicale). Al contrario, risulta abbastanza spiazzante scoprire che il coro degli assiri dell’Atto II sia stato attribuito agli ebrei, così come essere distratti da una scenetta pleonasticamente patetica che si sviluppa in proscenio durante il Va’ pensiero sullo sfondo. Rispetto alla gestione delle masse, purtroppo si è ravvisata qualche incertezza nella direzione degli attori, con momenti unitamente confusi e suggellanti una staticità non gradita (invero, quest’ultima imputabile anche a soluzioni registiche dedite più alla resa estetica, che non a quella drammatica). Pertanto, una regia provvida di buone idee, ma in cui latita l’equilibrio nella loro realizzazione.
Sul fronte musicale, l’impressione generale è stata quella di aver ascoltato un buono spettacolo. Nel cast ha sicuramente spiccato la prova decisa e intensa di Marta Torbidoni nel ruolo di Abigaille. Il soprano ha dimostrato lo studio certosino compiuto sul personaggio, che vocalmente si è attestato sui parametri di un vero lirico-spinto. La cantante si è destreggiata con gusto interpretativo tra le sezioni più liriche e quelle più drammatiche, esibendo centri pieni e acuti davvero propulsivi, pure in termini di emissione. Effettivamente, tali roboanti squarci oltre la vetta del pentagramma potevano risultare eccessivi in alcuni casi, con il rischio di “strillare” alcuni suoni e di appiattirli in modo poco raffinato. Tuttavia, non sarebbe giusto condannare tutto ciò come una mera imprecisione tecnica (dopotutto di poco conto, dato che non scalfisce una prova generalmente autorevole), in quanto quelle rare urla sono apparse come un plausibile correlativo vocale delle folli turbe di cui Abigaille è vittima (non è stato lo stesso Verdi a rappresentare la psicosi della smania di potere della principessa assira attraverso passaggi di rara difficoltà, che costringono l’interprete a tuffarsi da sovracuti estremi a gravi profondissimi?). Accanto all’ottims esibizione di Torbidoni, a destare altrettanti meritati apprezzamenti è stata quella di Ramaz Chiklivadze (in vece dell’indisposto Riccardo Zanellato) nel ruolo di Zaccaria: il basso georgiano, dal timbro robusto e rotondo, si è distinto per l’intonazione solida e l’emissione ampia e generosa. Il ruolo del titolo era affidato a Fabian Veloz che, a fronte di un’esecuzione tecnicamente buona (anche se una maggiore attenzione al fraseggio l’avrebbe decisamente resa ottima), è risultato poco incisivo dal punto di vista interpretativo, mancando un po’ della grinta e del carisma necessario per un ruolo come quello di Nabucco. Matteo Desole (Ismaele) ha dimostrato tutte le potenzialità del suo strumento tenorile, dispiegando un canto appassionato, intonato e ben proiettato (forse ancora un po’ timido nello slancio verso l’acuto), che lascia presagire prospettive interessanti per il futuro. Accanto a lui la convincente prova di Chiara Mogini (Fenena), dalla voce dolce e delicata, come si è potuto riscontrare felicemente nell’ascolto del suo toccante Oh, dischiuso è il firmamento). Completano il cast gli adeguati Lorenzo Mazzucchelli (Gran Sacerdote di Belo), Anna (Laura Fortino) e Abdallo (Saverio Pugliese), mentre il Coro lirico di Modena, preparato da Giovanni Farina, ha offerto una prova maiuscola per compattezza e intensità.
Sul podio il notevole Massimo Zanetti, che ha diretto un’Orchestra Filarmonica Italiana in ottima forma. La conduzione è risultata energica e brillante, mentre la concertazione ha evidenziato, con equilibrio e rigore e sempre in virtù di quanto accadeva in scena, alcuni gruppi di strumenti piuttosto che altri, con una piacevolissima e pregnante enfasi sui fiati e sulle percussioni.
Al termine della recita pomeridiana, convinti applausi per tutti e picchi di entusiasmo per Torbidoni, Chiklivadze e Zanetti.