La forza sonora della Messa Solenne

A Bologna, Asher Fisch avvia le celebrazioni beethoveniane con piglio poderoso

Fisch e l'Orchestra del Comunale di Bologna (Foto Andrea Ranzi Studio Casaluci)
Fisch e l'Orchestra del Comunale di Bologna (Foto Andrea Ranzi Studio Casaluci)
Recensione
classica
Bologna, Auditorium Manzoni
04 Febbraio 2020

Una Missa solemnis di sempre più rara esecuzione in Italia inaugura all’Auditorium Manzoni la Stagione sinfonica 2020 del Teatro Comunale di Bologna, primo di tanti concerti celebrativi programmati nell’anniversario beethoveniano (http://www.tcbo.it/): partitura ridondante, compositivamente disordinata, stilisticamente inclassificabile (al di là dell’altissima considerazione che ne aveva il suo stesso autore), capace di mettere a dura prova tutti gli esecutori, massime i soprani anche del coro più titolato. Pure all’ascoltatore è richiesto uno sforzo particolare, fra stravaganze musicali inattese e una dilagante tanatofobia – la paura di finire, di arrivare a una conclusione definitiva – che più che altrove qui Beethoven evidenzia nell’ostinarsi a proseguire con pagine e pagine di musica anche quando tutto è già stato detto e ridetto.

Asher Fisch non sembra ripetere il miracolo di alcuni straordinari concerti bolognesi dello scorso anno, culminati nel Fidelio autunnale. Punta qui tutto sulla forza sonora e si accontenta di fraseggi granitici, senza cercare strade alternative perl chiarificare gli intricati contrappunti. La stessa orchestra pare un po’ sfilacciata, ben lontana dalla miracolosa omogeneità e levigata compattezza raggiunta appena la settimana scorsa nel Tristano diretto da Juraj Valčuha. Nondimeno, i toni più distesi del Benedictus giovano a tutti e consentono di bearci con i poetici assoli dei primo violino Paolo Mancini.

Analoghe considerazioni possono farsi per il coro istruito da Alberto Malazzi, più apprezzabile nei momenti a sonorità contenuta che non quando viene irresponsabilmente spinto da Beethoven verso altezze impossibili, prossime all’urlo.

Fra le grandi partiture di musica sacra in repertorio, la Missa solemnis è una di quelle che più chiede anche ai quattro solisti di canto. Siobhan Stagg padroneggia con grande professionismo e vocalità cristallina le tante frasi impervie imposte al soprano. Bel timbro mezzosopranile quello di Stefanie Iranyi, che emerge nei passi più intensi dell’Agnus Dei. Di Antonio Poli ricordiamo a Bologna un Nemorino baciato dal Cielo; dopo appena cinque anni, nella sua voce schiettamente tenorile trapelano già durezze e affaticamenti, ed è un vero dispiacere. Quanto al basso Felix Speer, pur vocalmente apprezzabile, dobbiamo lamentare una fastidiosa irrequietezza durante tutto il concerto, con movimenti continui che distoglievano l’attenzione da quanto lo circondava, quasi ritenesse di diventare invisibile nei momenti in cui non canta.

Buona risposta del pubblico al termine dell’esecuzione, con applausi particolarmente affettuosi indirizzati al coro.

 

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