La felicità all'opera

Recensione
classica
Teatro Regio Torino
Domenico Cimarosa
07 Giugno 2002
Torna dopo vent'anni al Regio di Torino "Il matrimonio segreto" di Domenico Cimarosa, il più popolare e amabile capolavoro del nostro melodramma settecentesco, consegnato a gloria imperitura fin dalla sua prima esecuzione alla corte di Leopoldo II d'Austria, al termine della quale, caso più unico che raro nella storia del genere, dovette essere replicato seduta stante a furor di pubblico. E assistendo a un allestimento coeso, tutto volto alla ragion teatrale, come quello di ieri sera, non è difficile comprendere i fondamenti di un tale strepitoso successo. Il direttore Evelino Pidò ha scelto di eseguire in apertura l'Ouverture originale composta per il debutto del 1792, a evidenziare la radice mozartiana che vi si esprime soprattutto nel peso maggiore riservato ai fiati e da un tono più sensibile e "affettuoso" di quello della variante generalmente acquisita in repertorio. E tuttavia nel dispiegare e porgere la partitura mantiene un rapporto dialettico con l'altro grande polo, stavolta futuro, cui "Il matrimonio" tende, e cioè l'opera buffa rossiniana, presagita nella vivacità dinamica e nei contrasti agogici che imprimono un ritmo teso alla vicenda. L'orchestra del teatro lo asseconda con docilità e brio, dando vita a tre ore serrate di spettacolo, intervallo compreso. Nell'unica scena, che rappresenta la stanza di soggiorno della casa di Geronimo, la regia classica di Michael Hampe introduce poche, piccole modifiche a vista (le tende aperte e chiuse, la luce del giorno che trascolora in notte) e una recitazione di gesti e di sguardi, giungendo a esiti felicissimi specie nel quartetto "Sento in petto un freddo gelo" e nei concertati di fine atto. Il Finale I, in particolare, è un momento di teatro in musica moderno e sorprendente, messo in scena con gusto essenziale, quasi a denudare il perfetto ingranaggio drammaturgico sottostante. Maria Costanza Nocentini e Antonino Siragusa sono i due sposi inconfessati del titolo: sicuri sul piano vocale e giovanilmente impacciati sulla scena, il che talvolta ha sottratto, talvolta aggiunto realismo al quadro generale. Se Carolina difetta un po' di verve (e di chiarezza nella pronuncia, soprattutto nei recitativi a rotta di collo), al Paolino di Siragusa, che pure possiede un timbro e di uno stile vocale perfetti per il ruolo, gioverebbe qualche guizzo arlecchinesco in più. Nei panni di Geronimo un burbero Enzo Dara in serata meno felice del solito, ma sempre padrone della scena e del cuore del pubblico. Rachele Stanisci è un'Elisetta piccante e capricciosa il giusto, ottimamente cantata, al cui confronto appare un po' stentoreo il conte Robinson di Dario Solari. La palma per il miglior personaggio va probabilmente a Cristina Sogmaister, una Fidalma tenera, maliziosa, saggia, e di prepotente istinto comico, oltre che musicalmente ben servita. Al calare del sipario applausi convinti da un uditorio non precisamente folto, ma attento e divertito.

Note: Allestimento Teatro Regio Torino in coproduzione con Opéra de Monte-Carlo. Produzione originale: Oper der Stadt Köln

Interpreti: Dara / Di Matteo (8, 12, 15), Stanisci / Pucci (8, 12, 15), Nocentini / Papatanasiu (8, 12, 15), Sogmaister / Custer (8, 12, 15), Solari / Novaro (8, 12, 15), Siragusa / Guadagnini (8, 12, 15); Maestro al clavicembalo Carlo Caputo

Regia: Michael Hampe

Scene: Jan Schlubach

Costumi: Martin Rupprecht

Orchestra: Orchestra del Teatro Regio

Direttore: Evelino Pidò / Alessandro Galoppini (8, 12, 15)

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