Iolanta e l’autodeterminazione

Al Teatro Comunale di Bologna, proposto in forma di concerto il titolo di Čajkovskij diretto da Michael Gütter

Iolanta al Comunale di Bologna (Foto Andrea Ranzi)
Iolanta al Comunale di Bologna (Foto Andrea Ranzi)
Recensione
classica
Teatro Comunale di Bologna
Iolanta
07 Aprile 2022 - 09 Aprile 2022

C’era tutta l’intenzione di omaggiare le radici ucraine di Pëtr Il’ič Čajkovskij quando a inizio stagione è stata messa nel cartellone del Teatro Comunale di Bologna la sua Iolanta, rivelandosi, nell’esecuzione di ieri, come un momento di riflessione sull’importanza della cultura e della musica come collante tra popoli.

Un esperimento pensato e voluto dalla direttrice musicale (ucraina) del teatro felsineo, Oksana Lyniv, che per motivi di salute è stata sostituita sul podio da Michael Gütter. Un esperimento mediamente riuscito per le formazioni del Comunale, che però un po’ ne soffrono, forse per la poca consuetudine con il repertorio, forse per la poca intesa con il direttore. Sicuramente è intenzione pregevole quella di proporre un titolo d’opera poco noto (che peraltro ben si presta all’esecuzione forma di concerto), come è sensibile quella di omaggiare la compositrice ucraina Hanna Havrylets, scomparsa durante i primi giorni del conflitto russo-ucraino, aprendo la serata con l’esecuzione del suo Stabat Mater.

Con una trama da fiaba, ai limiti della credibilità, a lieto fine ma pur non priva di momenti di angoscia, l’“idillio drammatico in un atto” di Čajkovskij è un’opera dai tanti interlocutori (vari i comprimari, tra dame di corte e soldati: Laura, Victoria Karckacheva; Marta, Marina Ogii; Brigitta, Olga Dyadiv; Almérique, Mihail Mihaylov; Bertrand, Petar Naydenov). Yulia Tkachenko è una principessa Iolanta dall’emissione vibrante, fresca, piena; piace l’aria accorata del re René (Rafal Siwek), padre di lei, così come la richiesta, solenne e ieratica come una profezia, del medico Ibn-Hakia (Serban Vasile) di informare la giovane della sua cecità (che il padre le cela). Vaudemont, il liberatore e futuro sposo della giovane (Arnold Rutkowski) è l’unico a non convincere pienamente, specie al confronto con il Robert di Andrei Bondarenko, sanguigno nel professare il suo amore per la donna che ama, generoso di suoni rotondi e penetranti. È un titolo che tratta temi molto attuali: abilismo e sanismo, indipendenza di pensiero e di azione dei figli nei confronti dei padri, diritto del malato di conoscere la propria condizione. La parola d’ordine è volontà (di sapere, di agire, di liberarsi): un’opera tale permette una riflessione profonda sul privilegio di vivere in una società in cui alla donna e ai malati è permesso di autodeterminarsi. Unica replica anche il 9 aprile.

 

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