Il versatile Quartetto Jerusalem

 A Milano per la Società del Quartetto

Jerusalem String Quartet
Jerusalem String Quartet
Recensione
classica
Milano, Sala Verdi del Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi”,
Jerusalem String Quartet
15 Maggio 2018

Fa sempre piacere vedere una sala da concerto sufficientemente affollata quando protagonista è la formazione sicuramente più emblematica della musica da camera, visto che non sono in pochi a considerarla priva di quell’attrattiva in grado di richiamare un grande pubblico. La Sala Verdi dell’omonimo Conservatorio milanese ha viceversa riservato una calda accoglienza al Jerusalem String Quartet, in uno degli appuntamenti più interessanti nella stagione della storica società che – non a caso – tutta la città chiama familiarmente il Quartetto.
La serata è iniziata con una delle pagine più gradevoli scritte da Mozart, il Quartetto K 458 “La Caccia”, nella quale i quattro musicisti hanno immediatamente evidenziato non solo una perfetta intesa, ma anche una profonda attenzione alla mirabile armonia tra le parti che la scrittura del salisburghese raggiunge in ciascun movimento. Grande la sensibilità nel proporre l’ampio Adagio, ma soprattutto ha convinto l’energia ritmica profusa nel brioso Allegro assaiconclusivo. Con una pienezza e pastosità di suono che si sono rivelati decisive soprattutto nel successivo Quartetto n. 1, lavoro scritto da Béla Bartók nel 1907, brano che ha comportato un radicale cambio di atmosfera nel programma del concerto. Qui il Jerusalem ha dato veramente il meglio, sottolineando tutte le tensioni che il musicista ungherese riesce a creare e risolvere all’interno di un linguaggio che sta gradualmente trovando una propria personalissima dimensione, ma che a tratti evoca ancora pagine come la celebre Verklärte Nacht di Schömberg, dalla quale sono trascorsi meno di dieci anni. E nella persistente frammentazione con cui Bartók tratta più volte la formazione strumentale è emerso ancora una volta il grande affiatamento del Jerusalem, frutto non solo di eccellenza individuale ma soprattutto di un tenace lavoro di gruppo. Ne ha beneficiato evidentemente anche l’ultimo brano della serata, il Quartetto op. 135 di Beethoven. Nel sublime movimento lento di questo capolavoro i quattro strumentisti hanno trovato un eccezionale equilibrio, grazie al quale la rarefazione dei mezzi compositivi – una semplice melodia e una struttura armonica essenziale – è diventata la vera protagonista della scrittura adottata in questo brano scritto dal compositore tedesco a pochi mesi dalla morte.
Pubblico generoso di applausi, che il Jerusalem ha ricompensato con due brevi bis: un delizioso minuetto dal Quartetto “L’aurora” di Haydn, preceduto dallo strepitoso Allegro pizzicato al Quartetto n. 4, ancora di Bartók, come dire che quando si è veramente bravi si può fare anche a meno di usare l’archetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

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