Il Tannhäuser di Ozawa

Per uno sciopero dei macchinisti, la produzione del Tannhäuser è stata fino all'ultimo a rischio. La "prima" il 6 dicembre e molte rapppresentazioni seguenti sono state proposte in versione da concerto. Finalmente, la regia di Carsen è stata svelata: costruita sulla duplicità dell'artista. Comunque, resta magica la direzione di Seiji Ozawa che guida un'orchestra in stato di grazia. In un cast di sole stelle trionfa Eva-Maria Westbroek.

Recensione
classica
Opera Bastille Parigi
Richard Wagner
21 Dicembre 2007
Lo sciopero di alcuni macchinisti ha fatto oscillare fino all'ultimo la spada di Damocle sulla produzione di Tannhäuser, per molte recite presentato in forma da concerto. Finalmente, un accordo tardivo ha permesso al pubblico delle ultime rappresentazioni di poter approfittare della regia di Robert Carsen. Chi scrive, lo spettacolo, l'ha visto due volte (la "prima", il 6, e poi il 21 dicembre), insomma senza e con regia. Nei due casi, la fossa sovrasta e Seiji Ozawa impera. Il direttore nipponico controlla l'orchestra de l'Opéra de Paris con gesti calibrati e misurati. Tutto è ridotto all'essenza, senza eccessi gratuiti. E l'orchestra risuona come non mai: eccelle tanto per la qualità dei solisti (i fiati, uno ad uno percettibilissimi e così essenziali) tanto per la fusione della massa. Mentre il cast risplende: tutte voci di primisso livello. Stella assoluta è Eva-Maria Westbroek, un'Elisabeth vocalmente purissima e dal volume impressionante. Il super-mediatico Matthias Goerne (Wolfram) conquista specie per il timbro caldo. L'eroe eponimo di Stephen Gould pena a decollare, ma alla fine è semplicemente eccelso: travolgente da ogni punto di vista. Brava pure Béatrice Uria-Monzon che Carsen fa esibire al primo atto completamente nuda, attorniata da ballerini che finiscono per spogliarsi anche loro, doppi di Tannhäuser. Carsen fa di Tannhäuser un pittore che con Venere ha un rapporto di attrazione e repulsione. Tele e cavalletti sono presenti per i tre atti. Il quadri di Tannhäuser non sono visibili al pubblico. Solo alla fine, si intuisce che si tratta di un inno alla donna e magari al sesso femminile, pronto a occupare il posto lasciato vuoto in una galleria virtuale tra Botticelli e Gustave Courbet. Un'allusione pure allo scandalo del Tannhäuser parigino del 1861.

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