Il ritorno a Roma di Currentzis e Utopia
Un Brahms discontinuo e un Mahler letteralmente straordinario
Teodor Currentzis ha debuttato a Roma la scorsa stagione e vi è tornato ora, entrambe le volte per un concerto fuori abbonamento con Utopia (notare bene: non Orchestra Utopia ma Utopia tout court). E l’anno prossimo per dirigere l’orchestra romana in un concerto con le consuete tre repliche in abbonamento. Dunque sembra che sia nato un ottimo feeling tra Currentzis e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il pubblico già l’adora: è vero che durante l’intervallo alcuni esprimevano dei dubbi sul suo Brahms, ma appunto erano dei dubbi su alcuni particolari, ma all’interno di un giudizio globalmente positivo. E il sottoscritto condivide tali dubbi, che ricalcano sostanzialmente quelli già espressi dopo il suo Brahms della volta precedente .
In entrambi i casi si trattava di un Concerto di Brahms, l’altra volta quello per violino op. 77, questa volta il secondo per pianoforte op. 83. Entrambi iniziano con un ampio movimento Allegro non troppo, che Currentzis trasforma in un Troppo allegro, almeno per ampie porzioni, mentre nelle pagine più liriche rallenta moltissimo (lo fanno tutti, ma non in modo così marcato) e adotta tempi molto distesi. Indubbiamente l’intento è esaltare al massimo le tensioni tra le due contrastanti facce di questo movimento, quella lirica e quella grandiosa, energica, potente. Quella lirica è resa in modo meraviglioso: prendiamo le primissime battute, con il corno che suona “mezzopiano”, come indica Brahms, ma che questa volta era un “mezzopiano” speciale, come un suono che viene da lontano, da spazi aperti, evocando una natura incontaminata: è un sogno romantico a cui il pianoforte di Alexandre Kantorow si abbandona con ampi arpeggi, che salgono dal profondo e svaniscono verso l’alto. Basterebbero le poche battute di quest’introduzione a rendere indimenticabile quest’esecuzione. Ma il sogno svanisce con l’entrata in scena dell’intera orchestra, che Brahms indica “forte, ben marcato” ma che con Currentzis diventa un fortissimo scandito con rigidità militaresca, con i tempi forti della battuta esageratamente accentuati, il tutto ad un tempo velocissimo, tanto che il povero Kantorow non può fare altro che allineare le note del pianoforte una dopo l’altra, senza poter fraseggiare e dare respiro alla musica. Ma questi accessi di furore sono riscattati dalle ampie pause liriche, una più meravigliosa dell’altra.
Negli altri tre movimenti l’esecuzione diventa molto più equilibrata. Bellissimo l’Allegro appassionato: veramente appassionato, romantico, con le pagine veementi e talvolta anche cupe e quelle più liriche che non sono rigidamente contrapposte come nel primo movimento ma dialogano e si integrano le une con le altre. Qui Kantorow non è più soverchiato e messo all’angolo dall’orchestra ma ritorna coprotagonista - e che copratagonista! - alla pari con l’orchestra. I coprotagonisti diventano tre nell’Andante, perché si aggiunge il primo violoncello Konstantin Pfiz a cui è affidato il bellissimo tema lirico iniziale, che poi il pianoforte riprende e varia: anche qui Kantorow è splendido. L’Allegretto grazioso è esattamente quello che il titolo lascia intendere e Kantorow e Currentzis accentuano la sua distanza dalla drammaticità e dal coinvolgimento emotivo dei movimenti precedenti. Nonostante le suddette riserve sul alcuni aspetti del primo movimento, è un’esecuzione trascinante, indimenticabile, che ha meritatamente riscosso applausi al calor bianco, cui Kantorow ha risposto con un bis molto lontano dalle atmosfere brahmsiane, il finale dell’Uccello di fuoco di Stravinskij (credo che fosse la trascrizione pianistica di Guido Agosti, ma non mi sento di garantirlo) mettendone in rilievo il debito con il finale dei Quadri di un’esposizione di Musorgskij
La seconda parte del concerto era dedicata alla Sinfonia n. 4 in sol maggiore di Gustav Mahler, di cui Currentzis ha dato un’interpretazione nuova, sorprendente ma convincente. Tutto converge verso il finale, quando il soprano intona La vita celestiale, che i bambini morti cantano nell’aldilà: “La nostra vita è una vita d’angeli / e siamo in tutto felici, / danziamo e saltiamo, / balziamo e cantiamo”. Questa poesia e la musica che l'accompagna costituiscono la chiave di lettura di tutta la Sinfonia. Infatti i movimenti precedenti utilizzano spunti musicali presi dal finale (che fu composto per primo) sebbene resi quasi irriconoscibili.
I primi tre movimenti sono dunque anch’essi la voce di quei bambini e parlano della loro breve vita e della loro precocissima morte. Sono un’immagine sonora della vita infantile il tintinnio di campanelli che apre il primo movimento, gli strumenti a fiato usati quasi come strumenti-giocattolo (anche il seriosissimo Adorno parla di “una fantastica ocarina ... il timbro di un ideale strumento infantile… il chiasso che fanno i bambini battendo sulle pentole”) e poi un ritmo di marcetta e poi ancora un semplice tema danzante. Improvvise irruzioni del mondo degli adulti, con sonorità forti e tese, cancellano solo per un attimo quest’immagine sonora della vita infantile, che però riprende subito, nuovamente giocosa, spensierata e felice.
Il secondo movimento è una danza macabra, ma non poi tanto macabra, anzi si può percepire anche un po’ di tenera ironia sulla fine della spensieratezza infantile, ineluttabile ma non tragica e semmai percorsa da una vena di nostalgia. Il terzo movimento Ruhevoll (generalmente tradotto “calmo” o “tranquillo” ma letteralmente “pieno di pace”) è di una tristezza infinita: inizia in sol maggiore e proprio la tonalità maggiore, che dovrebbe essere serena, rende più atroci quella tristezza e quelle lacrime che scorrono sul volto dei bambini. che vorrebbero ancora sorridere ma non ci riescono più. E il movimento si conclude con una coda rarefatta, ormai il bambino non è più in questo mondo. E subito attacca il finale gioioso, in cui la voce del soprano descrive il mondo di bengodi che l’ha accolto nell’aldilà.
Più che una descrizione della Sinfonia, questa vuole essere una descrizione dell’interpretazione di Currentzis, molto originale e personale, ma niente affatto azzardata, anzi confortata da una serie di affermazione di Mahler stesso, del suo assistente Bruno Walter e soprattutto dalla partitura. Un’interpretazione che ti prende al cuore dalla prima all’ultima nota, a partire da quel mondo infantile iniziale, che non è affatto infantilistico ma è una delle più belle descrizioni immaginabili di quella vita che per noi stessi da adulti è diventata un mistero impenetrabile.
Un’interpretazione che aggettivi come straordinaria, bellissima, emozionante e commovente banalizzerebbero. Insieme al direttore greco dobbiamo ringraziare i magnifici musicisti di Utopia (sì, hanno suonato in piedi, ma non tutti e solo in Mahler) e il soprano Regula Mühlemann, che ha dato alla sua voce il timbro esile e la limpidezza della voce infantile, ma senza bamboleggiamenti. Applausi ancora più entusiastici di quelli che avevano accolto Brahms. E come bis soprano, direttore e orchestra ci hanno regalato Morgen di Richard Strauss.
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