Il pianismo proteiforme di Beatrice Rana

A Verona insieme alla Deutsche Kammerphilharmonie Bremen diretta da Riccardo Minasi

GD

03 ottobre 2025 • 4 minuti di lettura

Beatrice Rana (Foto Studio Brenzoni)
Beatrice Rana (Foto Studio Brenzoni)

Teatro Filarmonico, Verona

Beatrice Rana e Die Deutsche Kammerphilharmonie Bremen

01/10/2025 - 01/10/2025

Si è conclusa a Verona la XXXIV edizione del Settembre dell’Accademia, festival internazionale di musica indetto dall’Accademia Filarmonica di Verona e incentrato sulla valorizzazione di nuove proposte interpretative di repertori tradizionali da parte di artisti e orchestre di prestigio mondiale. A chiudere la rassegna del 2025 sono stati il pianismo proteiforme di una Beatrice Rana in stato di grazia e i magnifici musicisti della Deutsche Kammerphilharmonie Bremen diretti da Riccardo Minasi (al suo secondo concerto sinfonico in Italia, come ha rivelato al termine della serata).

Il programma è stato interamente dedicato al rapporto tra tradizione e innovazione nella musica tedesca dell’Ottocento, come si riscontra già a partire dal brano che ha aperto il concerto, ovvero l’ouverture del Freischütz, il Singspiel di Carl Maria von Weber che nel 1821 entusiasmò Berlino proponendosi come chiave di volta tra la tradizione del teatro musicale tedesco (basti pensare alla paradigmatica Zauberflöte) e la possibilità di progettare un’opera lirica autenticamente romantica e tedesca. Riccardo Minasi ha diretto il brano con un notevole impegno intellettuale e un’acuta concertazione, restituendo tutti i caratteri umorali della composizione ed esaltandone lo spirito narrativo, tanto che sembrava possibile visualizzare sul palcoscenico i fiabescamente foschi personaggi e ambientazioni del Franco Cacciatore.

Successivamente, Beatrice Rana ha fatto la sua entrata sul palco del Filarmonico per cimentarsi nell’esecuzione del Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in Do minore di Beethoven, fulgido esempio proprio di quel dialogo sotteso a tutto il XIX secolo tedesco tra le “classiche forme” – per usare un’espressione cara alla pianista leccese – e quelle nuove. Invero, l’interpretazione di Rana e Minasi ha chiarito con decisione il costante intreccio tra lo stile sinfonico e cameristico che anima il capolavoro beethoveniano. La musicista salentina ha esibito un pianismo sempre cangiante, quasi frutto di un proteiforme impasto di stili diversi. Nell’Allegro con brio iniziale (indubbiamente l’apice della serata) si è rimasti attoniti ascoltando il duttile bilanciamento tra la trasparente musicalità del fraseggio in puro stile classico (straordinaria l’intellegibilità acustica di ogni nota, anche durante le scale musicalmente più ripide dei passaggi virtuosistici) conferita al primo tema e il raccoglimento cameristico del secondo, a tratti ammantato da un tocco liquidamente sfuggevole, quasi dal gusto impressionista. Il Largo è stato incantevole per la sublime gestione delle dinamiche (merito di un’elevata consapevolezza tecnica nell’indipendenza tra le mani e nell’uso espressivo del pedale) e per la candida discussione, dal carattere dolcemente meditativo, tra i morbidi arpeggi del pianoforte e i soffici legni dell’impeccabile Kammerphilharmonie. Il Rondò finale ha poi portato a compimento il percorso dello strumento solista, che l’interprete ha investito dell’opportuna inclinazione sinfonica per essere alla pari con la massa orchestrale; quest’ultima sempre brillante nel suono e nella scansione rimica grazie all’ispirata direzione di Minasi. Al termine dell’esecuzione, Rana ha regalato un paio di bis conquistando meritatamente i rumorosi applausi del pubblico (soprattutto a fronte di un’interpretazione particolarmente energica della Marcia dello Schiaccianoci).

Dopo l’intervallo, la compagine di Brema ha messo in mostra l’intenso studio effettuato insieme al suo direttore artistico Paavo Järvi sulla produzione di Brahms, eseguendone la Sinfonia n. 4 in Mi minore, un’altra opera situata a metà tra il passato (addirittura con uno sguardo al contrappunto di Bach, come accade nell’ultimo movimento) e il futuro, soprattutto rispetto all’ampia libertà compositiva adottata nell’uso delle variazioni. La conduzione di Minasi è stata un piacere da ascoltare e innanzitutto da vedere: dal gesto euforicamente spettacolare e figlio di una teatralità sempre precisa e funzionale per chi suona e narrativamente intellegibile per chi ascolta. Il direttore italiano ha scandito la celebre cellula tematica dei violini che apre l’Allegro non troppo ritardando l’appoggio della seconda nota sulla prima, dilatando all’insegna della nostalgia lo spazio di una tristezza lontana e immergendo l’uditorio in un clima di abbacinante bellezza emotiva; a fare da contraltare lo slancio vigoroso e romanticamente tragico, ma sempre splendidamente cantabile, del secondo tema. Nell’Andante moderato i protagonisti sono stati gli ineccepibili fiati della Kammerphilharmonie con l’educato colloquio tra legni e ottoni, solo a tratti intorbidato dal severo motivo degli archi. Infine, l’animo corrusco dell’Allegro giocoso è emerso con l’opportuno brio nella raffinata tintura orchestrale e l’Allegro energico e appassionato ha chiuso la sinfonia con un ottimo equilibrio tra monumentalità e lirismo.

La serata si è conclusa con una brillante esecuzione dell’Ouverture nello stile italiano di Schubert (proposta come bis) e con convintissimi applausi per tutti.