Il maggio di Wiesbaden apre con Bizet
Ai Maifestspiele “Les pêcheurs de perles” in un allestimento di FC Bergman

All’Hessisches Staatstheater di Wiesbaden si è scelta una apertura insolita per i Maifestspiele, la tradizionale rassegna internazionale nel sottofinale di stagione. Messa ormai da parte l’enfasi bayreuthiana della gestione Laufenberg, la coppia delle neosovrintendenti Hartmann&Heine ha scelto come titolo di apertura Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, compositore non particolarmente celebrato nell’anno del centocinquantenario della morte in terra tedesca (nemmeno il Carmen-ometro regista aumenti significativi rispetto alla norma).
Frutto maturo della febbre orientalistica che si diffonde nella Francia di metà Ottocento, è proprio l’esotismo in quest’opera che riscatta una vicenda altrimenti piuttosto banale, cioè il classico triangolo amoroso del tenore che ama il soprano con il baritono geloso che guasta la festa (semmai qui piuttosto inusuale è la vera natura del legame fra i due uomini e intrigante è sapere quale sia il vero oggetto della cieca gelosia del baritono). L’esotismo, tuttavia, non è ciò che risalta nell’allestimento firmato per regia, scene e luci dal collettivo teatrale belga FC Bergman, il primo di un’opera lirica, ripreso a Wiesbaden dall’Opera della Fiandre di Anversa, dove lo spettacolo ha visto la luce nel 2018 ed è stato riproposto nel 2023 (con tappe anche a Lussemburgo e a Lille, coproduttori dello spettacolo). È piuttosto la nostalgia di una giovinezza largamente idealizzata al centro dell’idea drammaturgica: Zurga e Nadir, ormai anziani, sono internati in una casa di riposo dove gli ospiti muoiono a getto continuo e, dopo un breve passaggio in camera mortuaria, finiscono in celle frigorifere. Insomma, servizio “all inclusive”. In questo luogo dove non si attende che la morte, la dolce ala della giovinezza viene rimessa in moto dall’arrivo, come una vecchia diva decrepita su sedia a rotelle, di Léïla, che risveglia in Nadir un desiderio ormai sopito. Particolarmente suggestiva, nel duettone “Ton coeur n’a pas compris le mien!” del secondo atto, è la spoliazione di Léïla da parte di Nadir sotto una grande onda, segno forte della scenografia rotante: la donna abbandona il suo involucro cadente (in lattice) per rinascere, come una farfalla, nella sua giovanile nudità, mentre il simulacro giovane della coppia (i danzatori/performer Bianca Zueneli e Jan Deboom) si esibisce in sensualissime acrobazie erotiche. Ritrovata la giovinezza, Nadir e Léïla cavalcano la grande onda verso un futuro forse radioso, mentre Zurga è destinato a una cella frigorifera.
Se il contrasto fra il colore esotico della partitura bizetiana e lo squallore dell’ambiente produce un effetto straniante – e straniante è pure la presenza del “restauratore” Patrick Vermeulen, che con i suoi continui ritocchi alla scenografia introduce un elemento di verità nell’intrinseca artificiosità dell’esperienza teatrale – allo stesso tempo è proprio quel contrasto che crea un contesto non del tutto estraneo alla vicenda e ne amplifica il portato drammatico con una soluzione intelligente e contemporanea (e certamente più efficace del recente esperimento di Peeping Tom, altro collettivo belga, su Purcell ).
Considerazioni drammaturgiche a parte, Les pêcheurs de perles resta soprattutto un’opera per grandi voci e da questo punto di vista il cast messo insieme a Wiesbaden non delude. L’espressiva Léïla di Elena Tsallagova è protagonista di un’impressionante metamorfosi dalla tremante fragilità della vecchia morente alla floridezza della giovane seduttrice ma la linea vocale è sempre accattivante e impeccabile come le sicure colorature. Il Nadir di Marc Laho è risolto con grande eleganza di fraseggio, malgrado qualche impaccio nei passaggi di registro, mentre il Zurga di Kartal Karagedik si difende soprattutto per la robusta presenza anche vocale più che per lo scavo psicologico. Completa il cast il corposo Nurabad di Eugene Richards III, che si presta anche come doppio del giovane Zurga, di cui vuole rappresenta il lato più oscuro e crudele. Molto incisivi gli interventi del Coro dell’Hessisches Staatstheater, ottimamente preparato da Albert Horne. In buca il direttore Chin-Chao Lin dirige l’Hessisches Staatsorchester con pertinenza stilistica e grande slancio, suggellando una serata musicale di notevole valore.
Pubblico numeroso anche nell’ultima delle tre recite in programma. Caldi applausi per tutti con solo qualche dissenso idealmente indirizzato all’assente team registico.
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