Il coraggio dell'entusiasmo

Ennesima riesumazione donzettiana, fra punte di valore e cadute clamorose

Recensione
classica
Associazione Faenza Lirica - Festival delle Opere Rare Faenza
Gaetano Donizetti
08 Aprile 2001
Un teatro di provincia che voglia impegnarsi in produzioni operistiche ha due strade da percorrere: accontentare i desideri del pubblico locale ammannendogli i titoli del grande repertorio, sapendo però in partenza che le ristrettezze di budget lo costringeranno alle proverbiali "nozze coi fichi secchi", con risultati perlopiù censurabili; oppure cercare una propria fisionomia culturale, battendo quelle strade che i grandi enti lirici perlopiù trascurano: le medesime ristrettezze di budget non consentiranno livelli esecutivi memorabili, ma l'interesse per la proposta insolita finirà per controbilanciare la qualità del prodotto. Chi si è avventurato in questi giorni in terra di Romagna ha potuto godersi, a distanza di poche ore, due frutti interessanti di questa politica culturale controcorrente: l'ennesima tappa metastasiana del Teatro di Lugo (vedi la recensione on line di Alessandro Rigolli) e il grande azzardo dell'Associazione Faenza Lirica e del suo "Festival di Opere Rare" (direzione artistica: Fernando Battaglia e Daniele Rubboli) che, dopo un "Paolo e Francesca" di Luigi Mancinelli nel 1999 e "La cabrera" di Gabriel Dupont lo scorso anno, ha voluto ora buttarsi nella riesumazione del "Paria", uno dei pochissimi titoli donizettiani che non avevano ancora risuonato fra le riscoperte novecentesche. Opera massiccia, compatta, spiazzante come lo sono per solito quelle su libretto di Domenico Gilardoni, priva di un concertato, un quartetto per finale d'opera (e siamo solo al 1829). Fra la mani di Donizetti si conferma una partitura atipica: pochi numeri musicali (5 nel prim'atto, appena 3 nel secondo), ma lunghi, lunghissimi, con scarsa azione, facenti leva sulla componente vocale. Una dimensione ideale, insomma, per un'esecuzione in forma di concerto, come quella propostaci: un'unica recita finalizzata alla realizzazione di una registrazione discografica da parte dell'editore Bongiovanni (che ha appositamente prodotto anche la partitura, revisionata da Franco Piva). Ripescare uno spartito pensato su misura per astri vocali quali furono Adelaide Tosi, Giambattista Rubini e Luigi Lablache e darlo in mano a giovanissimi interpreti di scarsa esperienza, è iniziativa temeraria e d'esito incognito, sufficiente però a far calare dal nord Europa il ben noto stuolo di affezionatissimi che accorrono nel Bel Paese ogni qualvolta un nuovo spartito belcantistico emetta i suoi primi vagiti in epoca moderna. E i "fuori sede" erano ben più numerosi dei faentini, che hanno lasciato in teatro troppi buchi vuoti. Presa per quello che è, e senza chiedergli ciò che mai potrebbe essere, l'impresa è quasi riuscita. Gran bella prova del soprano Patrizia Cigna, tutta giocata sulla delicatezza d'accento. Voce molto interessante anche quella del baritono Marcin Bronikowski, con buona dizione nonostante l'origine polacca, ma una certa tendenza a slittare nell'intonazione durante i recitativi. Sentiremo di certo riparlare di entrambi. Voce robusta, un po' rude, quella del basso Alessandro Verducci, che ben si adatta al personaggio ieratico affidatogli. Esattamente il contrario di quanto si possa dire del tenore Filippo Pina Castiglioni: voce secca, con inflessioni "caprine" (è termine tecnico, usato dagli antichi trattatisti), tenta di risolvere la parte tutta sul versante patetico, si butta sul falsetto, oppure "accenna" come se fosse ancora in prova, e quando la parte richiede di più s'arrampica sugli specchi, scivolando clamorosamente. L'imbarazzo è più nel pubblico che nell'interprete (ma perché non semplificargli qualche passaggio decisamete impervio?). Marco Berdondini accompagna senza invadere, senza farsi notare, tenendo in pugno la situazione con professionalità. Buona prova dell'orchestra "Pro Arte" e del coro "Mezio Agostini", entrambi marchigiani. Con un allestimento scenico adeguato e un diverso tenore, lo spettacolo avrebbe potuto farsi onore anche in una stagione lirica regolare. Clima familiare, in teatro, con Daniele Rubboli che fa gli onori di casa presentandoci uno ad uno gli interpreti e raccontando in palcoscenico la trama, per chi avesse dimenticato gli occhiali. Inizio dell'opera con 25 minuti di ritardo. Programma di sala gratis per tutti, con libretto stampato da chi, evidentemente, non ne aveva mai visto uno.

Note: Prima esecuzione in epoca moderna. Versione in forma di concerto

Interpreti: Bragiotto, Bronikowski, Cigna, Montefusco, Castiglioni, Verducci

Orchestra: Orchestra Pro Arte Marche

Direttore: Marco Berdondini

Coro: Coro Lirico "Mezio Agostini" di Fano

Maestro Coro: Angelo Biancamano

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Bologna: il nuovo allestimento operistico dell’Orchestra Senzaspine ha debuttato al Teatro Duse

classica

Successo per Beethoven trascritto da Liszt al Lucca Classica Music Festival

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo