I Barbari alla Scala

Una nuova produzione dell’Attila di Verdi firmata da Lavia

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
20 Giugno 2011
Sarà che il grande repertorio dell’Ottocento non è più di moda, per motivi diversi: chi lamenta l’assenza della componente agonistica degli anni d’oro delle grandi voci, chi si accorge che i grandi registi d’oggi guardano altrove (barocco e Novecento.) È un dato di fatto, per esempio, che alla Scala da almeno un decennio non si abbia il coraggio di proporre un titolo italiano dell’Ottocento chiamando un regista che abbia qualcosa da dire (per dire, Carsen, McVicar, Guth, etc.) ma si preferisca rimanere nel limbo di spettacoli semi-tradizionali che, alla fin fine, scontentano tutti (i vedovi delle ugole d’oro e gli amanti del teatro puro anche a costo di qualche perdita in termini di vocalità). Non fa eccezione l’ultima nuova produzione dell’Attila verdiano: accolta con grande successo in teatro, è il classico esempio del “vorrei, ma non posso” degli allestimenti odierni: la regia di Gabriele Lavia, infatti, non osa abbastanza e si limita a dare una chiave di lettura (i tre atti come tre diversi momenti dell’umanità afflitta dalle barbarie), dando l’impressione di non credere neanche un momento alla drammaturgia (sghemba quanto pare, ma sempre geniale) del giovane Verdi. Siamo sempre alle solite: il coro sta un po’ lì e un po’ là, i protagonisti sempre in proscenio col brando alzato. Fine. Anche i momenti potenzialmente più suggestivi (Foresto che entra in scena all’avvio del III atto da uno squarcio nel telone da cinema che proietta un film muto) sembrano buttati lì. Peccato, perché musicalmente la produzione è di buon livello: a partire dal coro diretto da Casoni (incredibili le sfumature di cui sono oggi capaci), il direttore Luisotti ha colto benissimo il difficile equilibrio tra afflato lirico ed epica retorica e ha fatto suonare l’orchestra come poche volte capita alla Scala. Attila è Orlin Anastassov, voce e presenza scenica da epic metal (capello lungo al vento e spolverino d’ordinanza); Odabella è un cambio dell’ultimo momento, con Lucrecia Garcia buona promessa per gli anni a venire; ottimo il Foresto di Fabio Sartori, squillo e patetismo tenuti insieme dal giusto temperamento, mentre l’Ezio di Marco Vratogna combatte con una linea vocale dalla tenuta instabile, pur essendo l’unico ad aver capito cosa significhi dare un senso alle parole che si cantano.

Interpreti: Attila: Orlin Anastassov; Ezio: Marco Vratogna; Odabella: Lucrecia Garcia; Foresto: Fabio Sartori; Uldino: Gianluca Floris; Leone: Ernesto Panariello.

Regia: Gabriele Lavia

Scene: Alessandro Camera

Costumi: Andrea Viotti

Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala

Direttore: Nicola Luisotti

Coro: Coro del Teatro alla Scala

Maestro Coro: Bruno Casoni

Luci: Gabriele Lavia e Marco Filibeck

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