Gioconda non supera la prova Scala

L'opera appare datata e delude la direzione di Chaslin

Gioconda (Foto Brescia e Amisano)
Gioconda (Foto Brescia e Amisano)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
Gioconda
07 Giugno 2022 - 25 Giugno 2022

L'ultima presenza della Gioconda alla Scala (1997) non aveva lasciato un buon ricordo (l'unico a salvarsi era stato Roberto Abbado sul podio); stavolta è andata meglio, se non altro per la buona accoglienza di un pubblico non abituale, legato ai molti arrivi per il Salone del Mobile. Tanti però i dubbi per questa edizione, anche riguardanti lo stesso Ponchielli, che ormai pare rinchiuso in una sorta di teca polverosa (e pensare che undici anni dopo La Gioconda ci sarà Otello e dopo diciassette Falstaff!). E così pure lo scapigliato Boito, che non solo non si espone a firmare il libretto (usa come fa spesso lo pseudonimo Tobia Gorrio), ma in quanto padovano trasporta per prudenza il losco intrigo ideato da Victor Hugo da Padova a Venezia. Mossa a dire il vero vincente perché sono gli stereotipi della città lagunare a mantenere ancora viva l'opera: il carnevale, la Ca' d'Oro, il mare, l'Inquisizione, il Gran Consiglio, gli spioni. Ben ha fatto il regista Davide Livermore a farne una città da fumetto (dice di essersi ispirato a Mœbius, a dire il vero ben più visionario), il che permette di distogliere l'attenzione dello spettatore dai tanti problemi drammaturgici. Come l'inflazionato connubio di festa e di morte; il popolo entusiasta per la regata e d'un tratto pronto al linciaggio; i forzati coups de théâtre nel secondo atto, nel terzo l'incongruenza del narcotico succedaneo, visto che nessuno può aver informato Gioconda del veleno destinato a Laura. Livermore e la scenografia di Giò Forma ci hanno messo di tutto, pur se sempre in trasparenza, i palazzi rotanti hanno pareti di velo come anche il gigantesco veliero attraccato alla Giudecca, mancano tuttavia le maschere della commedia dell'arte. Compaiono soltanto dei tiepoleschi Pulcinella ridotti a manovalanza del crimine. Insistenti anche le apparizioni extraterrestri a scopo illustrativo, un angelo con ali vistose che spunta dalla laguna quando s'invoca la Madonna, o scende dall'alto o passeggia con un globo luminoso in palmo di mano, non identificati genii del male calati con cavi invisibili, utilizzati anche nella Danza delle Ore che oltre al canonico tutù aggiunge ballerini svolazzanti. Pur liberato dai collegamenti televisivi, il regista non ha rinunciato alle continue proiezioni di nebbioline cangianti, d'incendi devastanti. Un susseguirsi gratuito di proiezioni al solo scopo di meravigliare, così che alla fine tutto risulta superfluo e ingombrante. Il cast è risultato nel complesso di buon livello. Saioa Hernández (Gioconda) ha confermato buona sicurezza vocale, più convincente Daniela Barcellona (Laura) anche per come è a proprio agio nel personaggio, specie durante lo scontro con lo spregevole Alvise (l'ottimo Erwin Schrott che non ha perso né volume di voce né il fascino dell'intonazione aspra). Stefano La Colla, che ha sostituito all'ultimo Fabio Sartori, si è misurato degnamente col personaggio di Enzo affrontando con sicurezza l'impegnativo "Cielo e mar". Più che degna la Cieca di Anna Maria Chiuri, mentre il Barnaba vocalmente corretto di Roberto Frontali non è sufficientemente infame come richiederebbe un personaggio che dovrebbe anticipare Jago e Scarpia. La direzione di Frédéric Chaslin è risultata nel complesso greve, metodicamente studiata per i roboanti pieni d'orchestra, con qualche intoppo di coordinamento su quanto avviene in scena. Al termine applausi per tutti, ma buu insistiti all'apparizione di Chaslin, prenotato per Les contes d'Hoffmann della prossima stagione. Che invece esigerebbero una leggerezza che non sembra appartenergli.

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