Famiglie del mondo

Edizione numero 25, e successo, per il Festival del Mediterraneo di Genova

Foto Michele Mannucci
Foto Michele Mannucci
Recensione
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Festival del Mediterraneo Genova
01 Settembre 2016
Il Festival Musicale del Mediterraneo di Genova quest'anno festeggiava una ricorrenza importante, che lo pone nei primissimi posti fra le rassegne più longeve della Penisola dedicate alle musiche di tradizione e di elaborazione delle tradizioni stesse. Era l’edizione numero venticinque, un traguardo ragguardevole, che nelle intenzioni del suo direttore artistico, Davide Ferrari (cofondatore della sigla Echo Art, direttore della Banda di Piazza Caricamento e musicoterapeuta) avrebbe anche dovuto segnare un gran finale in bellezza: dieci giorni di Festival in sei differenti location, quattordici concerti, diverse occasioni di spettacolo itinerante, un convegno dedicato all'importante tema dell'utilizzo della musica e dell'educazione musicale per contrastare gli abbandoni scolastici, una mostra di strumenti, una di video sul quarto di secolo del Festival. Poi è successo che la risposta di pubblico è stata così calorosa e confortante che la struttura ha deciso di ripensarci. Un segnale non da poco, in un momento in cui l’occasione per ascoltare musiche “altre” nel nostro paese si assottigliano tragicamente, mentre impera il regno dei supposti “eventi” e del cattivo gusto. Polemiche a parte, c'è da dire che il festival dei venticinque anni ha davvero superato le aspettative anche del pubblico più esigente e scafato: merito anche, forse, del bello spunto di riflessione e di pratica che Ferrari ha dato all'edizione, “Famiglie sonore”. Duplice il significato: sia le diverse generazioni che si avvicendano e trovano modo di passarsi il testimone della musica di tradizione, costruendo quella catena dell'oralità che scavalca i secoli anche oggi che il sapere (o supposto tale) viaggia su un “click”, sia nel significato di dar spazio alle più diverse “famiglie” stilistiche, prendendo a campioni molti esempi diversi e complementari di modi di sentire la musica. Ecco dunque un Festival in cui potevano convivere la splendida, asciutta esibizione di Roger Eno nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, impreziosita anche da qualche guizzo ironico, da un bell’omaggio a Scarlatti, e dalla gran simpatia del personaggio, caratterialmente opposto al ben più celebre e celebrato fratello, e la pizzica tarantata della salentina famiglia Giannuzzi (cui era riservata sia una data specifica, il 2, sia vari interventi nel Centro storico), nucleo base di quegli Arakne Mediterranea che tante volte ha turbinato ritmi e danze nella città della Lanterna, sulla spinta delle intuizioni del grande musicista e antropologo di Lecce, purtroppo scomparso precocemente. Inizio di potenza con la burkinate Madou Zon Family, della stessa etnia e famiglia dei grandi Farafina, per un set di devastante potenza poliritmica su djembè, balafon, ngoni, e poi, il 2 settembre, serata didascalica (oltre alla citata Famiglia Giannuzzi) per illustrare le famiglie sonore del canto armonico e del didjeridoo, con il “maestro dei maestri” del canto difonico vietnamita Tran Quang Hai, Mandakh Daansuren dalla Mongolia, e lo specialista di didjeridoo italiano Andrea Ferroni. Il parco di Forte Begato ha ospitato invece Kyoshindo, unico gruppo italiano a praticare la difficile via dei tamburi giapponesi taiko, i Giona's Brothers, tra folk e pop, e le favolose Henry Girls dall'Irlanda, un frizzante ponte tra note gaeliche dal Donegal e cesellate strutture pop, bluegrass, blues. Due gruppi liguri d’eccellenza il 6 settembre: quello dell’organettista Filippo Gambetta, approdato a una sognante, poetica maturità, e quello con Marco e Manuel Fadda e Marika Pellegrini, trionfo delle percussioni. Un punto apicale del Festival s’è toccato mercoledì 7, quando a Palazzo Bianco s’è esibito l’inarrivabile Trio Chemirani, una stirpe di virtuosi sul tamburo zarb persiano che riesce a volgere le fittissime poliritmie quasi in melodia e contrappunto, con la diteggiatura leggera e pressante sulle pelli. Bisserov Family è invece un progetto ricavato dai più larghi organici del celebre “Mistero delle Voci Bulgare”: quattro donne di diverse generazioni che affrontano quarti e ottavi di tono con stupefacente facilità. Qualche ombra sul concerto del chitarrista flamenco Juan Carmona in omaggio a Paco De Lucia: troppo stacco tra la parte con il gruppo, ripetitiva ed estetizzante, e la perfezione passionale dell’esibizione in solo. Un problema tecnico ha trasformato la serata del 10 a Palazzo Ducale, riservata alla prima nazionale di Ahmad Alkhatib & Broucar, danzatore derviscio di Damasco rifugiatosi in Francia. Una forzata assenza dei musicisti ha costretto l’organizzazione a reinventare la serata, ed è accaduto un piccolo miracolo: con Michele Ferrari sul palco impegnato a oud, ney e tamburo a cornice, l’eccellente vocalist siriana Mirna Kassis, che vive a Genova, e il danzatore derviscio perfettamente a proprio agio nelle rotazioni spettacolari sia sulle basi registrate, sia sui quanto proponevano, all’impronta, Ferrari e Kassis. Veterani della scena internazionale della world music, i Tenores di Santa Barbana “Battista Morittu” hanno chiuso il festival, a Palazzo Tursi. Festeggiano i quarant’anni di attività, e un loro concerto, dipanato in alternanza tra brani profani e canti liturgici è sempre una festa dell’intelligenza sonora antica che diventa emozione pura.

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