Fabbrica Europa 2021

A Firenze per la XXVIII edizione il duo Cinelu – Molvaer e le visioni di Sylvano Bussotti

Sylvano Bussotti (archivio Lelli e Masotti)
Sylvano Bussotti (archivio Lelli e Masotti)
Recensione
oltre
Firenze
Fabbrica Europa
02 Settembre 2021 - 17 Ottobre 2021

Cinelu, Molvær. Due mondi

La prima riflessione che scaturisce naturale dopo l’ascolto del concerto di Mino Cinelu e Nils Petter Molvær più che sui valori musicali accende interrogativi su quali misteriosi processi attivino la scintilla della collaborazione tra due musicisti. Perché d’istinto sembrerebbe proprio che i due non abbiano molto da condividere. Eppure il trombettista e il percussionista hanno realizzato insieme l’anno scorso un cd (SulaMadiana per l’etichetta Modern) che stanno promovendo in tournée. Risulterebbe anche una inutile scorciatoia evidenziare le provenienze geografiche, e quindi culturali, dei musicisti. Molvær viene dalla Norvegia, Cinelu è francese ma ha nel sangue le inconfondibili tracce della paternità martinicana. Freddo e caldo. Nebbie e fuoco. Contrasti forti dai quali potrebbero scaturire potenzialità creative. Potrebbero, ma così non è. Almeno non è stato al Teatro Puccini di Firenze.

Il concerto si apre con due set in solo. Cinelu attraversa la platea suonando flauti. Salito sul palco tra le sue percussioni privilegia come uno sciamano l’aspetto rituale e cerimoniale della danza con movimenti sinuosi, della voce, in un linguaggio dal carattere astratto, asemantico ma fortemente comunicativo. Mischia ora suoni puri, ora filtrati da un’elettronica sofisticata che rimane in sottofondo garantendo una tensione costante. Un delicato equilibrio tra tradizione e tecnologia non sempre convincente. Rimane comunque lontano dalle meraviglie delle frequentazioni davisiane e con i Weather Report.  La tromba di Molvær, dal suono filtrato, quasi irreale, espone subito uno spiccato lirismo poetico, non usa elettronica ed effetti come sottofondo ma ci dialoga, ci si immerge in un senso spaziale del suono anche affascinante, tipico del jazz delle sue parti.

Dopo, insieme, non succede in verità un gran che. Ognuno rimane sulle sue, Cinelu sviluppa un approccio limitato al proprio arsenale luccicante, non fa esplodere mai quella vitale foga percussiva che lo ha reso dagli anni ‘80, in un turbinio di collaborazioni tra jazz e pop, famoso e amato. Tra i due il francese pare soffrire di più la situazione, perché se Molvær fa dell’estetica scandinava ed il suo sviluppo il proprio cavallo di battaglia, Cinelu non contrappone, o almeno la fa raramente, la propria adeguandosi ad un canovaccio sonoro che lo penalizza. Rari sono i momenti nei quali i due dialogano veramente cercando e trovando un piano di scambio paritario, la musica scorre rassicurante, senza guizzi, invenzioni, senza coraggio.

Mino Cinelu e Nils Petter Molvær (foto Monia Pavoni)
Mino Cinelu e Nils Petter Molvær (foto Monia Pavoni)

Bussotti, o del desiderio

Luca Scarlini ci racconta, con passione e il ritmo musicale dell’affabulatore, un pezzo di strada creativa di Sylvano Bussotti nel sobrio ambiente del PARC (Performing Arts Research Centre), davanti alle Cascine di Firenze, primo incontro del Progetto 90BUSSOTTI Ascolti e visioni su Sylvano Bussotti. Contenitore di diversi appuntamenti ed eventi pensato per festeggiare i novanta anni dell’artista fiorentino il primo di ottobre. Ma con un vero coup de theatre Sylvano se n’è andato il 19 settembre e chissà se ha voluto in qualche modo dirci che avrebbe mal sopportato la settimana a lui dedicata nella sua Firenze, città con la quale ha vissuto un rapporto complesso. Comunque, pur nello sgomento, tutto è confermato, parole, suoni e immagini scorreranno per onorare la memoria di uno dei più straordinari e visionari artisti europei del ‘900. Scarlini si concentra in particolare sulla messa in scena di Le Racin,pianobar pour Phèdre (1980) alla Piccola Scala di Milano. Opera per la quale Bussotti firma regia, scene, costumi, libretto (da Jean Racine, 1677) e che rimaneggiata e riscritta nell’88 diverrà Phèdre (Fedra). Proprio l’immersione nella vicenda della figura mitologica di Fedra (nella traduzione di Giuseppe Ungaretti) che Bussotti muove i suoi personaggi, fantasmi in un albergo parigino di appuntamenti come in una casa degli specchi tra pulsioni erotiche e tentazioni d’incesto (Fedra è innamorata, ma respinta, del figliastro Ippolito). Prologo, tre atti e un intermezzo dove il desiderio serpeggia costante tra costumi licenziosi, seduzioni, in una poetica dove l’eros si traduce in energia esistenziale.

Aiutano Scarlini, in collegamento telefonico, i fotografi della Scala di quegli anni, Roberto Masotti e Silvia Lelli. Documentarono da par loro le prove dell’opera in stretta collaborazione con il maestro con il quale strinsero una lunga amicizia. Ci raccontano l’ambiente della Piccola Scala, il rapporto di Bussotti con i personaggi, la libertà concessagli nel loro lavoro. I risultati sono visibili a tutti i presenti, i fascinosi scatti scorrono in sala facendoci immergere idealmente in quell’ambiente con Bussotti che pare ballare leggero tra i suoi personaggi, le sue scenografie, i suoi sogni. Scarlini contestualizza bene l’evento (la prima si terrà il 9 dicembre 1980) e tirando un filo rosso con la complessità dell’oggi evidenzia come quel tipo di opera d’arte, quelle libertà, quell’eccitante teatro d’avanguardia, del quale Bussotti è stato artefice assoluto, sarebbe oggi impossibile non solo per probabili e ottusi rischi censori ma soprattutto per il contesto culturale che stiamo vivendo.

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