ÉtéTrad, non c'è tradizione senza trasformazione

Reportage dal festival valdostano, diretto da Vincent Boniface: folk, world music, ballo e nuove musiche ben consapevoli delle proprie radici

ÉtéTrad 2018
Rémy e Vincent Boniface (foto di Roger Berthod)
Recensione
world
Charvensod (AO)
ÉtéTrad 2018
14 Agosto 2018 - 18 Agosto 2018

Non c’è tradizione senza trasformazione, né futuro senza conoscenza, questo il motto di ÉtéTrad, entusiasmante e nutrita rassegna di musiche tradizionali del mondo in Valle d’Aosta, magari a partire da uno sguardo privilegiato sulle antiche e trobadoriche sonorità della parabolica dorsale occitana (con organetti diatonici e medioevali ronzanti ghironde sempre in primo piano), magistralmente diretto dal talentuoso polistrumentista Vincent Boniface (polifiatista, organettista). Vincent è coraggioso erede di una valorosa stirpe di trovatori e ricercatori valdostani di Aymaville, la famiglia Boniface del bonario “griot” padre Sandro in primis, senza dimenticare gli insegnamenti della carismatica e dinamica madre Liliane Bertolo, valorosa vocalist e attenta studiosa, esponenti di una profonda cultura franco provenzale tutta da far prosperare e trasmettere, riuniti sotto la “ragione sociale” di Trouveur Valdotèn, di recente premiati al Premio Loano come miglior realtà culturale, in procinto di compiere i suoi primi quarant’anni di attività. Oltre a loro, il festival passa per le mani di Paolo Dall'Ara – presidente dell'Associazione ÉtéTrad – e di Hélène Impérial, nella veste di segretaria di produzione, oltre che in quelle di altri collaboratori affiatati (come, per esempio, l’onnipresente Marta Caldara, pianista folk/prog e signora del backstage).

Una manifestazione, ÉtéTrad, ormai considerata tra le migliori d’Europa nel suo campo, che quest’anno è giunta alla ventunesima edizione, svoltasi (come nei due anni precedenti e ancora per i prossimi due) nell’accogliente comune di Charvensod, nella verde area parco di Plan Felinaz (e non solo), dedicata al martire partigiano Guido Saba, a pochi passi dalla romana città di Aosta, sotto l’affascinante e incombente piramide della Becca di Nona e dei suoi vertiginosi tremila metri d’altezza.

A ÉtéTrad si celebra lo stare assieme attraverso il partecipato, armonioso e figurato ballo popolare e si coltiva l’ascolto condiviso e incantato di una musica di tradizione, spesso e volentieri a motore francofono, che si vuole in costante cambiamento, aperta al mondo e alle sue culture, sempre pronta a mettersi in gioco, riselezionare se stessa, riarticolarsi in mille configurazioni, se non reinventarsi per meglio commentare i nuovi tempi, mentre si schivano le chiuse e conservative cristallizzazioni folkloristiche, spesso e volentieri figlie di vuote o addirittura false convenzioni; e poi si racconta e valorizza con generosa sensibilità e autentica consapevolezza un antico e straordinario territorio montano, quello della Valle D’Aosta, fluttuante regione di confine e di minoranze culturali, sospesa tra Italia, Francia e Svizzera, necessaria, dialogica e naturale porta d’ingresso per l’Europa (non arroccata terra di montagna), diceva lo storico e resistente Federico Chabod, grazie ai suoi alti e aperti passi di origine glaciale.

Più di quaranta gli eventi in programma in quest’ultima edizione (difficile seguirli tutti, figurarsi renderne conto): dai concerti veri e propri, alle musiche pensate e suonate per accompagnare il ballo, agli stage di danze tradizionali (quelle dell’Auvergne nel Massiccio Centrale con i Flor de Zinc o del Poitou nella Francia centro occidentale, ma anche del nostro luminoso sud) o di strumento (la classe di organetto e musica d’insieme, per esempio, tenuta dal funambolico e sempre istrionico Simone Bottasso), alla presentazione di libri (quelli dell’etnomusicologo e musicista Rinaldo Doro) o ai reading e alle merende letterarie, fino all’allestimento di veri e propri spazi espositivi, come nel caso della mostra “Lo Bouque Son-E” (il legno suona), piccola esposizione, dal prospettico taglio storico, di strumenti musicali a cura di due maestri della liuteria delle alpi: Massimo Enrico (corde e flauti) e Sergio Verna (ghironde).

EtéTrad 2018 (foto di Roger Berthod)
Simone Bottasso (foto di Roger Berthod)

Poi la musica, i suoni, lo scintillio degli strumenti, ovviamente sempre in primo piano, ed ebbramente e confortevolmente fino a tarda notte.

E allora spazio a diversi modi di reinterpretare la tradizione, le sue formule, le sue strutture, le sue danze (scottish, bourée, walzer, mazurke, eccetera, eccetera), mai completamente snaturate, senza dimenticare il canto e l’autentica ed egualitaria ballata popolare, come nel caso della sontuosa anteprima del Festival, martedì 14 agosto nella suggestiva corte del Forte di Bard, affidata ad una sempre più brava, coinvolgente e autorevole Ginevra Di Marco, accompagnata dalle sue Stazioni Lunari (Francesco Magnelli, Andrea Salvadori).

EtéTrad 2018 (foto di Roger Berthod)
Ginevra di Marco (foto di Roger Berthod)

Da lì, nel corso delle successive quattro giornate, è stata poi la volta (solo per citare alcuni dei protagonisti intervenuti) dell’energico “folk rock” degli Orage, la pirotecnica band dei fratelli Boniface (Remy – violino, organetto, ghironda amplificata – e Vincent, oltre al paroliere e cantautore Alberto Visconti); dell’electro-rave folk dei bretoni Plantec (la provocazione più interessante ed “estrema” dell’intero Festival, insieme al poderoso bal dub folk di Sergio Berardo e Madaski, storici leader e componenti dei Lou Dalfin e degli Africa Unite); dei sofisticati, mirabolanti e concertanti arrangiamenti per i quattro organetti degli internazionali Samurai (con Riccardo Tesi e Simone Bottasso in grande evidenza); della cura e dedizione, nel favorire le danze in pista, degli esperti francesi del Poitou Ciac Boum, guidati dal generoso violinista e chanteur Christian Pacher e sostenuti dalle multiformi evoluzioni alla fisarmonica di Julien Padovani; dell’intrigante ed elegantissimo bal folk jazz degli Zlabya, progressivo e agile ensemble di Lille, capitanato dall’organettista e compositore Raphaël Decoster; della straordinaria classe nel gestire tempi, dinamiche, ritmi, alternarsi delle intricate melodie, dei temi, delle sezioni e delle danze, in un continuo e calibratissimo stop and go, dei sopraffini belgi Hot Griselda, con sugli scudi Stijn Van Beek, eccezionale suonatore di uillean pipe (l’infernale cornamusa a mantice irlandese), e Jeroen Geerincks, fenomenale chitarrista ritmico e bodhranista; dell’assurda claustrofobica e al contempo sognante, elfica, visione fippriana (per così dire) degli itineranti e circensi Celestroi, tre musici e saltimbanchi di Saint Etienne (grancassa, organetto e clarinetto), in bilico su trampoli, e con indosso verdi semoventi carampane, maschere, zaini del primo novecento, lampade roteanti in ferro battuto, alambicchi, che li facevano assomigliare da una parte a un soldato in trincea, irrimediabilmente perso tra i venefici gas della Grande Guerra, e dall’altra a liberatorie figure della favola e della mitologia boreale; dei canti “danzerecci” e delle musiche festanti delle Valli di Lanzo con i bravi Li Barmenk oppure delle infuocate poliritmie westafricane del chansonnier Sandro Joyeux (sorta di nuovo Manu Chao franco italiano, appassionato di afrobeat).

EtéTrad 2018 (foto di Roger Berthod)
Celestroi (foto di Roger Berthod)

Per arrivare infine alla spettacolare e digressiva serata conclusiva, con il ritorno degli Stygiens, blasonato super gruppo del balfolk italiano, trascinato da uno scatenato Paolo Dall’Ara alle cornamuse, affiancato dai prodigiosi fratelli Simone e Nicolò Bottasso (organetto e violino, ma non solo), e dall’implacabile chitarristica ritmico Francesco Motta. Immediatamente seguiti dal sontuoso e superlativo concerto degli inglesi Blowzabella, nel pieno del loro quarantennale, vero e proprio momento clou dell’intera rassegna, compassato ed elegante tripudio di clarinetti, sassofoni e cornamuse inglesi su un morbido ed atavico tappeto ritmico melodico, orchestrato da ghironda, basso elettrico, violino e organetto (quando il balfolk si fa concerto); e dal commovente e poetico concerto di chiusura dei Toc Toc Toc, formazione condotta da un ispiratissimo Vincent Boniface, che nel sostenere e accompagnare le evoluzioni al canto, anche validamente jazzistiche, dell’ottima e carismatica vocalist e ghirondista Anne-Lise Foy, ha dimostrato d’essere molto più che un “semplice” musicista di balfolk, e cioè un solista intrepido, nell’occasione soprattutto alla cornamusa, davvero capace di fare la differenza ad ogni sospir di nota, con spesso e volentieri vere e proprie incursioni in arditi territori improvvisativi, sul piano timbrico, melodico e armonico. Una quattro giorni davvero avvincente.

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