Dopo 60 anni Bruno Canino delizia ancora il pubblico romano.

Applaudito concerto per festeggiare anche il centesimo concerto alla IUC

Bruno Canino
Bruno Canino
Recensione
classica
Istituzione Universitaria dei Concerti Roma, Aula Magna dell’Università la Sapienza
Bruno Canino
30 Marzo 2019

L’appuntamento intendeva innanzitutto festeggiare il superamento di importante traguardo, quello del centesimo concerto in sessant’anni di presenza nelle stagioni dell’Istituzione Universitaria dei Concerti. Ma è stata anche l’occasione per celebrare l’amicizia che lega Bruno Canino, ormai da sei decenni, al pubblico dell’Aula Magna della Sapienza. Il pianista napoletano esordiva infatti nel 1959, peraltro come clavicembalista, in un concerto che proponeva alcuni “Giovani Solisti di Milano”, diretti da un Claudio Abbado non ancora ventisettenne. Presenza costante, da allora fino ad oggi, Canino si è cimentato con un programma che rimandava, col suo accostamento tra ‘700 e ‘900, a quello del ’59 – dedicato a Bach, Petrassi e Hindemith – del quale il pubblico ha potuto ben vedere il manifesto originale collocato al lato del palcoscenico.

Una prima parte tutta settecentesca con Haydn, Mozart e Clementi rappresentati ciascuno da una sonata e interpretati da Canino con la giocosità, l’eleganza e lo humour che lo contraddistinguono. Se la sonata Hob. XVI n. 13 del tedesco è risultata piena di vitalità e di energia ritmica, soprattutto nel Minuetto e nel Finale, il lavoro mozartiano – la Sonata in re maggiore K 311 – ha colpito per il cambiamento timbrico cui è stato sottoposto il pianoforte, soprattutto nel primo tempo, con i temi esposti in modo estremamente chiaro ma delicato. Alla fine la Sonata di Clementi ha allungato un tantino troppo questo viaggio nella cultura musicale di fine Settecento, ma il brio tutto italiano delle note ribattute iniziali ha comunque esercitato il suo fascino sugli ascoltatori.
Molto più eclettica la seconda parte, iniziata con due brillanti lavori di Gottschalk (unico autore del XIX secolo presente nel programma) e proseguita a ritmo di blues con la musica di Aaron Copland, fino ad arrivare all’Etude Australe VIII di John Cage. A proposito di questa partitura realizzata usando una mappa astrale, Canino ha tranquillizzato il pubblico preannunciando che, se l’osservazione del firmamento concepita dal musicista americano avrebbe potuto durare giorni e giorni, la sua esecuzione si sarebbe limitata a una decina di minuti. Eppure ascoltare il brano di Cage è stato come percepire l’essenza della curiosità e dello spirito esplorativo di un interprete che ha attraversato gli ultimi quarant’anni del Novecento portando la musica contemporanea a contatto del grande pubblico. E i Children’s Songs di Chick Corea, proposti a conclusione, sono forse stato proprio questo, il simpatico omaggio di un ‘nonno’ – tuttora perfettamente in forma – a tutti quei giovani che, come lui, non sanno resistere alla curiosità verso ogni novità del linguaggio artistico.

 

 

 

 

 

 

 

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