Die Soldaten tra la paglia

Bellissima edizione dell'opera di Zimmermann alla Scala

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
17 Gennaio 2015
Nata al Festival di Salisburgo 2012 (per volontà di Pereira) e coprodotta con la Scala (per scelta di Lissner), l'opera di Bernd Alois Zimmermann Die Soldaten approda ora alla sala del Piermarini con un nuovo allestimento poiché la Felsenreitschule originaria permetteva uno sviluppo orizzontale della scenografia mentre ora è divisa su due piani sovrapposti. Comunque la Scala ha senz'altro messo a segno il più bello spettacolo della stagione. Una parete di vetri divide in due parti il palco, dietro c'è la caserma coi cavalli veri e la soldataglia (bellissimi gli effetti da teatro d'ombre), verso il proscenio invece la casa dei Wesener, quella di Stolzius, di nuovo la caserma, dove una cabina trasparente da porno shop Beate Uhse ospita l'oggetto del desiderio, che sia la prostituta di passaggio o Marie. Al centro un mucchio di paglia diventa una specie di covone animato dentro in quale si agitano in turbinosi accoppiamenti la protagonista col barone Desportes; poi con sorprendente effetto drammatico si trasforma nel feto di cui Marie si libera tirando la paglia fuori dal suo ventre. E la paglia tornerà a mascherare la violenza che lei subisce dall'attendente. Su grandi schermi si susseguono foto porno da caserma, datate Prima Guerra Mondiale, durante la quale è meticolosamente ambientata la vicenda. Il regista lettone Alvis Hermanis (che firma anche le scene con Uta Gruber-Ballehr) ha però evitato ogni scivolata di "verismo", usando sempre un linguaggio allusivo, perfino surreale, per esempio quando la controfigura di Marie attraversa lo spazio in alto come una funambola. La messa in scena risulta sempre di un impatto straordinario; è stupefacente che questa sia la prima regia lirica di Hermanis. Bravissimi tutti gli interpreti, in primo luogo Laura Aikin (Marie) che affronta difficoltà vocali impervie e recita con disinvoltura assoluta. Ottima la direzione di Ingo Metzmacher. L'opera di Zimmermann, quasi sconosciuta in Italia (l'edizione del Maggio Fiorentino risale agli anni Settanta), ha ribadito d'essere un punto fermo del repertorio del Novecento. Con ancora una sua "modernità", se è lecito il paragone come una bellissima architettura di cemento armato a vista, qua e là un po' corroso dal tempo. La scrittura seriale non è del tutto ortodossa, talvolta affiorano brandelli di corali bachiani, jazzistici, in un pastiche equilibratissimo. Con momenti indimenticabili, che citiamo a caso. L'attacco dell'opera, un vero spalancarsi su una bolgia infernale. Il terzetto delle due sorelle e la contessa de la Roche. Lo spettacolare finale con l'ossessivo martellamento dei timpani che avvolge il pubblico da ogni parte. Perché, non ultima ragione dell'ottima riuscita dell'allestimento, è l'aver sparso le fonti sonore. Oltre che dalla buca dell'orchestra i suoni vengono dai palchi laterali e dall'alto. Il trucco sta nell'aver dislocato parte delle percussioni nella sala prove al sesto piano della Scala, collegate con altoparlanti in sala. Una spettacolarizzazione acustica, presente durante tutta l'esecuzione, che ha certo contribuito al successo della serata.

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