Delude il Ballo scaligero
Scala: quanti errori nella regia di Marelli
Per spiegare l'esito poco convincente dello scaligero Ballo in maschera, gli esperti di malocchio sarebbero propensi ad accusare i corvi neri, disseminati ovunque dal regista e scenografo Marco Arturo Marelli, ma non c'è bisogno di scomodare i poteri occulti per prendere atto ch'è stata sfortunata fin dall'origine. Prima la forzata rinuncia di Riccardo Chailly a salire sul podio per problemi di salute, di seguito la serie di tamponi positivi al Covid che ha impedito il normale svolgimento delle prove in presenza. E in ultimo il malore del regista. Rimane comunque il fatto che la messa in scena risulta un déjà-vu foriero di noia, fin dall'ouvertture a sipario alzato che mostra una sorta di antro-teatro (serve anche a proiettare sul fondale la sala del Piermarini come ha già fatto Carsen nel Don Giovanni con ben altro risultato), dove Riccardo dà in ismanie nel vedere la miniatura di Amelia; seguono poi i pannelli delle pareti a ruotare com'è loro destino, i mantelli lanciati in aria o gettati a terra, i cortigiani ballonzolano felici dell'appuntamento "incogniti alle tre", vestiti da pescatori. Riccardo, l'unico a chiedere il travestimento, rimane invece com'è; anzi è preda di ambizioni monarchiche, si fa ritrarre con uno scettro in mano e pelliccia di zibellino, venire a prendere da una portantina con camerieri in polpe dopo aver indossato un manto regale. In compenso i congiurati sono presentati come gerarchi fascisti in orbace. Tra i momenti più infausti l'apparizione di Ulrica (non più "dell'immondo sangue dei negri", ma corretto politicamente in "del demonio maga servile"), che non si sa per quale ragione debba spuntare da un tubero gigante con sopra un corvo nero, nel quale probabilmente abita quale profuga. A ribadire l'avversa profezia ci pensa la figura della Morte strappata al bergmaniano Settimo sigillo, come pure gli scenografici massi neri dell'"orrido campo", con sopra appollaiati i soliti pennuti. Mentre vien buttato malamente alle ortiche il sapiente gioco del nascondere e dello svelare degli amanti nel ballo finale, sapientemente calibrato da Verdi e da Somma, con la coppia sola in scena a viso scoperto.
Nel cast primeggia Francesco Meli nei panni di Riccardo, per colore di voce, sicurezza in ogni momento e per come ha fatto suo il nobile e spavaldo personaggio. Luca Salsi è a pari merito come Renato, specie nel terzo atto, peccato sia condannato a fare il macho ubriacone e manesco, perdendo così di spessore. Piuttosto carenti i ruoli femminili, Sondra Radvanovsky (Amelia) è dotata da madre natura di grande volume di voce, ma manca di calore, delle mezze misure, oltre che di dizione; Yulia Matochkina è un'Ulrica decorosa, purtroppo penalizzata dai costumi assurdi, mentre l'Oscar di Federica Guida (voce penetrante) è troppo spesso ridotto a un dozzinale pagliaccio, si veste anche da donna per fare da spalla al padrone (eppure sarebbe erede di eleganti adolescenti en travesti, da Cherubino a Octavian, oltre che potenziale Fool del mai composto Lear verdiano). La direzione di Nicola Luisotti invece ci riporta indietro di parecchi decenni nella storia del podio verdiano, il suo è un Verdi roboande, plateale, poco analitico, in compenso di facile impatto sul pubblico.
Morale della serata, preoccupa il fatto che questo Ballo sia una nuova produzione della Scala, per di più destinata in origine al suo direttore musicale. Un biglietto da visita della stagione molto deludente.
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