Colori d’oriente al Beethovenfest

A Bonn un festeggiatissimo concerto dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, primo di una breve tournée in Germania e Svizzera

Véronique Gens, Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, Antonio Pappano (Foto Michael Staab)
Véronique Gens, Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, Antonio Pappano (Foto Michael Staab)
Recensione
classica
Bonn, Beethovenfest (Theater Bonn)
Concerto Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
27 Agosto 2022

Cosa c’entrano Maurice Ravel, Nikolay Rimsky-Korsakov e soprattutto Yikesham Abudushalamu con Beethoven? Niente, ma da quest’anno al Beethovenfest la musica cambia (è il caso di dirlo) per volontà del giovane neodirettore Steven Walter che immagina il suo primo festival come “punto di partenza di una strategia di diversità a lungo termine”, che significa diversità di programmi, diversità di interpreti, diversità di esperienze. Tradotto: il Beethovenfest diventa un festival più vario nell’offerta che somiglia un po’ meno a una rassegna monografica e un po’ di più a un contenitore di proposte rivolte a segmenti di pubblico diversificati.

Restano comunque i consueti appuntamenti con le grandi orchestre e, fra queste, c’è anche l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia guidata dal suo direttore musicale Antonio Pappano, che con il concerto di Bonn ha inaugurato una breve tournée “festivaliera” con tappe a Lucerna, Amburgo e Berlino. Di ispirazione orientale il programma del concerto, aperto da Repression del giovane compositore uiguro Yikesham Abudushalamu, composizione vincitrice nel 2019 della prima edizione del Concorso Internazionale di Composizione “Luciano Berio” promosso dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dal Centro Studi Luciano Berio. Il pezzo veniva eseguito per la prima volta oltre i confini del nostro Paese, dove ha già goduto di una certa popolarità con esecuzioni da parte di prestigiose orchestre nostrane: l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano per la prima assoluta a Roma nel marzo del 2021, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino diretta da Michele Gamba nello scorso febbraio, mentre l’Orchestra Filarmonica della Scala l’ha annunciato per il prossimo novembre con la direzione di Thomas Adès. Si tratta di una composizione dalla scrittura solida e densa, giocata sui forti contrasti fra gli articolati fortissimi della massa orchestrale e la sospensione carica di tensione delle parentesi in cui il suono orchestrale si fa più rarefatto e luminoso. Si è voluto dare un senso politico al titolo soprattutto in relazione alla complessa situazione della minoranza uigura nella Cina contemporanea, ma Repression sembra comunque descrivere in maniera calzante la contrastata dinamica sonora della composizione.

Se la musica dell’orientale Yikesham Abudushalamu guarda decisamente alla tradizione musicale occidentale abbandonando ogni esotismo, siamo all’opposto per il Maurice Ravel delle tre liriche di Sheherazade (“Asie”, “La flûte enchantée” e “L'indifférent”) sui versi preziosi di Léon Leclère, celato sotto il wagneriano “nom de plume” di Tristan Klingsor. Dopo il forfait dell’annunciata Elīna Garanča è Veronique Gens a prenderne il posto. Interprete raffinata e di casa in questo repertorio, Gens regala la ben nota eleganza nell’elaborato fraseggio appena venata da un prezioso alito di nostalgia per il mondo di incanti evocato nei versi solo vagheggiato. Particolarmente seducente è il dialogo che il soprano intesse con i preziosi arabeschi del flauto “incantato” di Adriana Ferreira nel secondo quadro della composizione raveliana. Forte è il contrasto chiesto da Pappano fra il suo Ravel, tutto risolto sul piano della trasparenza e morbidezza sonora, e il Rimsky-Korsakov dell’altra celebre Sheherazade del sinfonismo occidentale. Qui il passo è vorticoso e avvolgente. Straordinario è il rilievo dato alla iridescente materia sonora e agli infiniti colori di cui l’orchestra, e questa orchestra, è capace. Aggiungono valore anche i puntuali interventi solistici che emergono dal vortice dei suoni dell’orchestra e specialmente quelli del violino solisto della spalla Carlo Maria Parazzoli.

Sono parecchi i posti vuoti in sala ma grande è il calore riservato dal pubblico presente all’orchestra e al direttore Pappano, ripagato da un italianissimo Intermezzo della Manon Lescaut di Puccini come bis.

 

 

 

 

 

 

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