Chiaroscuri barocchi illuminano la “Trilogia d’autunno”
A Ravenna l’originale binomio Monteverdi-Purcell di Dantone e Pizzi incontra l’eclettico Seicento di Orliński e Il Pomo d’Oro
Per la sua appendice autunnale in questa edizione 2024 Ravenna Festival ha deciso di esplorare in maniera originale e, se volgiamo, anche eclettica il repertorio del Seicento barocco. Tra il 15 e il 19 novembre scorsi, infatti, al Teatro Alighieri sono stati presentati tre appuntamenti che vedevano protagoniste opere di Monteverdi e di Purcell – rilette nelle visioni registica e musicale rispettivamente di Pier Luigi Pizzi e Ottavio Dantone con la sua Accademia Bizantina – al centro delle quali si incastonava lo spettacolo Beyond proposto da Jakub Józef Orliński con l’ensemble Il Pomo d’Oro.
Le prime due tappe di questa “Trilogia d’autunno” sono state quindi caratterizzate dal tandem creativo che ha affiancato la regia di Pizzi e la direzione di Dantone su una sorta di binario ideale che ha collegato Il ritorno di Ulisse in patria – opera di Claudio Monteverdi andata in scena per la prima volta a Venezia nel 1640, tre anni prima della scomparsa del compositore – e Dido and Aeneas che Henry Purcell ha visto rappresentata nel 1689 presso il collegio femminile del quartiere di Chelsea, a Londra. Un confronto ravvicinato che ha offerto interessanti prospettive e nel quale ai quasi cinquant’anni di distanza dai rispettivi debutti e ai mille e cinquecento chilometri di lontananza dei luoghi che hanno ospitato per la prima volta i due lavori, si sono sommati i trecento e passa anni trascorsi tra le prime esecuzioni delle due opere e queste serate ravennati.
Un giuoco estetico e spazio-temporale che la messa in scena ideata da Pier Luigi Pizzi – il quale, oltre della regia, si è occupato anche delle scene e dei costumi – ha riunito in una dimensione rappresentativa – unica e differente assieme – dall’eleganza essenziale, plasmata con il suo gusto classico per i pochi elementi scenografici di rimando simbolico, i contrasti tra il bianco, il nero e alcuni colori compatti – il rosso, il giallo, il viola, il blu, l’arancio… – il tutto ravvivato da un impianto di luci curato con efficacia da Oscar Frosio. Una dimensione che si conferma ormai riconoscibile e, al tempo stesso, caratterizzata da una funzionalità sempre efficiente, intrisa per composizione scenica, disposizione e gestione degli attori sul palcoscenico da una sapienza teatrale che il regista novantaquattrenne ci restituisce con uno sguardo acuto, divertito e pieno di vitalità, qui come in altre più o meno recenti letture di repertorio monteverdiano, oppure rossiniano, oppure verdiano, e così via.
Su questo sfondo Ottavio Dantone ha sbalzato la sua lettura musicale in maniera coinvolgente e originale, animata da una intelligenza interpretativa che ha saputo declinare in maniera differente le due opere, tratteggiando da un lato il carattere del lavoro monteverdiano con gusto attento ed equilibrato, segnando alcuni passaggi con articolazioni interpretative particolarmente incisive – proprio nel Il ritorno di Ulisse in patria, per esempio, nei momenti immediatamente successivi alla strage dei Proci a opera del famigerato arco teso dal re di Itaca – e dall’altro lato valorizzando la pagina di Purcell attraverso una vitalità decisamente trascinante, assecondata con efficace e precisa costanza dalla materia strumentale plasmata dai bravi componenti dell’Accademia Bizantina.
Una compagine strumentale che si è rivelata capace sia di seguire con fluida efficacia le indicazioni del direttore impegnato anche al clavicembalo, sia di assecondare nel complesso i variegati equilibri restituiti da un palcoscenico che ha ospitato una compagine vocale variamente articolata. Tra i protagonisti, la prova della Penelope di Delphine Galou è cresciuta in intensità nel corso della “prima”, affiancata dal solido Mauro Borgioni nei panni di Ulisse e da Valerio Contaldo in quelli di Telemaco. Oltre alle figure mitologiche di Giove (Gianluca Margheri), Nettuno (Federico Domenico Eraldo Sacchi), Minerva (Arianna Vendittelli) e Giunone (Candida Guida), troviamo le personificazioni allegoriche come l’Humana fragilità (Danilo Pastore), Tempo (ancora Margheri), Fortuna (Chiara Nicastro) e Amore (Paola Valentina Molinari). A completare l’articolato campionario dei personaggi rileviamo Antinoo (ancora Eraldo Sacchi), Pisandro (ancora Pastore) Anfinomo (Jorge Navarro Colorado), Eurimaco (Žiga Čopi), Melanto (Charlotte Bowden), Eumete (Luca Cervoni), oltre al volutamente fastidioso Iro di Robert Burt e all’adeguata Ericlea di Margherita Maria Sala).
Passando alla serata dedicata a Purcell, la volontà di incastonare Dido and Aeneas all’interno di Hail! Bright Cecilia – ode alla patrona della musica Santa Cecilia, che lo stesso Purcell compose nel 1692 su testo di Nicholas Brady – ha immerso l’ambientazione in un’ideale scuola musicale, dove i giovani studenti, durante i festeggiamenti in onore di Santa Cecilia, decidono di mettere in scena l’epopea dell’eroe troiano e della regina cartaginese. Qui, tra gli altri interpreti, abbiamo ritrovato Mauro Borgioni nei panni di Enea e Arianna Vendittelli in quelli di Didone, che hanno confermato solidità vocale e pregnanza interpretativa, un’attitudine confermata dall’interpretazione del celebre lamento “When I am laid in earth”, dove la voce della Vendittelli ha saputo assecondare con toccante sensibilità il segno intenso e delicato al tempo stesso plasmato da Dantone e dalla sua compagine strumentale.
Ultima tappa di questa “Trilogia d’autunno” è stata rappresentata dal recital proposto da Jakub Józef Orliński, controtenore polacco tra i più affermati della scena contemporanea, accompagnato dall’ensemble Il Pomo d’Oro. Uno spettacolo che – su uno sfondo simbolicamente coordinato e tratteggiato tra i costumi condivisi tra i musicisti e il cantante e la verve cinetica di quest’ultimo – ha offerto un excursus coinvolgente in un repertorio che ha miscelato alcuni brani di compositori quali Monteverdi e Strozzi, Cavalli e Caccini. Se, per usare le parole dello stesso Orliński, l’obiettivo del programma Beyond è quello di dimostrare «che questa musica [è] ancora vibrante, emozionante e profondamente attuale» – e se il parametro di verifica di questo intento è l’entusiasmo del pubblico – in occasione di questa serata possiamo dire che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto. Orliński canta decisamente bene, è uno dei non frequentissimi controtenori capaci di coprire con voce solida, espressiva ed efficace l’intero registro, restituendo anche momenti di particolare efficacia interpretativa come, per esempio, nelle sfumature ironiche di brani come “Quanto più la donna invecchia” e “Son vecchia, patienza” di Giovanni Cesare Netti. Un virtuosismo vocale, quello di Orliński, assecondato con bella affinità anche dai musicisti de Il Pomo d’Oro, palesemente a loro agio sia nei brani cantati sia nei momenti esclusivamente strumentali, nei quali però le pantomime del cantante divenivano a tratti francamente ridondanti.
Tutti gli spettacoli che abbiamo seguito sono stati salutati dai convinti applausi del pubblico che gremiva il teatro, con una punta di incontinenza per alcune signore che hanno filmato con lo smartphone l’intera esibizione di Orliński, con buona pace degli spettatori seduti accanto a questa sorta di groupie del barocco musicale.
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