Cercasi "trovatore" disperatamente...
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Recensione
classica
Dopo aver appena governato sino a due settimane fa un discutibile allestimento triestino dei "Puritani", Nicola Luisotti è stato richiamato in tutta fretta sul podio del "Teatro Verdi" a prendere in mano le redini de "Il Trovatore", che era stato affidato a Donato Renzetti, improvvisamente ammalatosi. Un compito ingrato quello di dirigere un titolo tanto popolare ma che costituisce sempre una dura pietra d'inciampo. Con baldanza e incoscienza giovanili, Luisotti si è dunque accostato a Verdi 'inciampando' in ovvietà dozzinali, disseminando la partitura di infernali accenti sforzati, staccando tempi incandescenti buoni per un maratoneta, trattando a volte le note come fossero bastonate. La gioiosa galoppata dell'intrepido Luisotti è apparsa dunque agli antipodi rispetto a quell'equilibrio classicamente disteso e a quella visionaria narrativa naturale che ci si aspetterebbe di sentir cavare da questo celeberrimo lavoro, che vorremmo piuttosto illuminato di poeticità, immune da grossolanità, rispettato in tutta la sua matrice belcantistica, sfumata, levigata e fraseggiata con raffinatezza millesimale. Pur non mancando di buone idee, le ondate sollevate da Luisotti paiono centrare di quest'opera solo frammenti. E a farne le spese è stata purtroppo l'ottima compagnia vocale, talora affatto in sintonia con il direttore che non ha assecondato in toto gli appelli musicali e le intenzioni canore dei protagonisti, slentando e accelerando i tempi a piacimento. Il primo a farne le spese è stato il basso Nathan Berg, nel ruolo di Ferrando, che nell'atto proemiale ha sfoderato una cavatina ("Di due figli vivea padre beato") ondivaga e spaesata, addirittura grottesca. E' andata meglio alla brava Dimitra Theodossiou, luminosa e poetica, che comunque ha saputo frenare, se non domare, i ritmi torrenziali imposti da Luisotti: il soprano greco ha scolpito la parte di Leonora con elegante e flessuosa perizia virtuosistica, curando minutamente il fraseggio, tinteggiato di misurata liricità e malinconia. Il mezzosoprano Irina Mishura, dotato di una splendida voce, ha delineato un'Azucena sobria, sfrondando i turgori tradizionali più deteriori. Superlativo, sia attorialmente che vocalmente, è apparso il baritono Marco Vratogna che, nel ruolo del Conte di Luna, ha evidenziato bellezza timbrica, sicurezza e potenza da antologia, con un unico cedimento, allorché nell'aria "Il balen del suo sorriso" è stato costretto ad abbandonare l'intenzionale soave cantabile per "marciare alla Luisotti". Meno credibile si è invece rivelato il Manrico del tenore italo-uruguayano Carlo Ventre che, seppur virile e in possesso di dizione e intonazione corrette, non è stato poi così del tutto affascinante e non ha cantato sempre sopra il velluto: con tutto ciò la sua "Di quella pira" è vibrata gagliarda. Assai tradizionali i costumi di Giovanna Buzzi; cenni moderni nelle scene di Pier Paolo Bisleri e moderata regia di Federico Tiezzi, che aveva già collaudato "Il Trovatore" l'anno passato all'Opéra di Monte-Carlo e che ha eseguito un interessante lavoro di carattere su alcuni personaggi, specie su Azucena, contenuta ed austera, e sul Conte di Luna, biecamente signorile. In perfetto aplomb il coro diretto da Seminara. Teatro gremito ed applausi entusiastici.
Note: Allestimento dell'Opéra de Montecarlo
Interpreti: Theodossiou / Rezza, Ventre / Zulian, , Vratogna / Hyman, Mishura / Chiuri, Berg / Rota
Regia: Federico Tiezzi
Scene: Pier Paolo Bisleri
Costumi: Giovanna Buzzi
Orchestra: Orchestra del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste
Direttore: Nicola Luisotti
Coro: Coro del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste
Maestro Coro: Marcel Seminara
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