Cercare il groove
Bill Laswell al Regio di Torino con i Master Musicians of Jajouka
Recensione
world
Le geografie delle musiche del mondo sono piuttosto diverse da quelle reali: capita così che un villaggio marocchino diventi una delle capitali della world music, epitome della musica transe: dai tempi della beat generation ritrovatasi a Tangeri a Brian Jones, fino ai giorni più recenti, andare a sciacquare i panni sul Rif sembra essere diventata quasi una moda. Bill Laswell – che a Jajouka andò nel 1992, e ci trasse un disco intitolato [i]Apocalypse Across the Sky[/i] – però rivendica la "serietà" della sua collaborazione con i musicisti marocchini, diretti da Bachir Attar: «Molto spesso – ha detto ad Alberto Campo su “Repubblica” – gli artisti americani ed europei tendono ad appropriarsi delle musiche tradizionali di altre parti del mondo, in particolare dell’Africa, limitandosi a “decorarle” da un punto di vista formale. Nel nostro caso, invece, è una vera collaborazione». Niente di più vero, a giudicare dal concerto di MITO al Regio di Torino (la replica al Teatro Manzoni di Milano è prevista per il 16 settembre). Ma [i]collaborare[/i], specie se calati in sistemi musicali diversi – da un lato il gruppo di Laswell, Material, dall’altro gli oboi ([i]rhaita[/i]), il violino e i tamburi del gruppo di Attar – si rischia, naturalmente. E così può capitare che l’inizio sia disastroso: nel Regio – non certo la sala più adatta per questo tipo di concerto – il volume è altissimo, il suono confuso. Dalle prime file alcuni rinunciano e salgono più in alto in platea, e sul palco si ha l’impressione che si stia cercando un terreno ritmico comune che proprio non vuol farsi trovare. Poi, poco a poco, i tasselli vanno a posto, le cellule ritmiche cominciano ad incastrarsi: Laswell è un bassista prodigioso, che a tratti sembra non fare assolutamente nulla ma che è capace di “aprire” un pezzo con una sola nota. Hamid Drake è probabilmente uno dei più creativi batteristi in circolazione. I due insieme – prese le misure – superano i problemi di ascolto sul palco, e guidano il gruppo in una seconda parte di concerto memorabile. Davvero, non c’è compiacimento: quasi nulli i soli, tromba e sax si limitano a punteggiare gli ostinati ritmici con riff, e a impastarsi con il suono penetrante degli oboi. Il risultato ora vira verso un jazz di sapore quasi “ethio”, ora verso il dub, o il rock psichedelico. Il tutto è una lenta indagine, uno scavo, a “cercare” il groove. Anche procedendo per errori: meglio, e molto, di fare i “decoratori”.
Interpreti: The Master Musicians of Jajouka; Bachir Attar, direttore. Material: Bill Laswell, basso; Hamid Drake, batteria; Aiyb Dieng, percussioni; Graham Haynes, tromba, cornetta; Peter Apfelbaum, sassofono tenore.
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