Bettinelli e Chailly, un teatro musicale della crisi?
Al Lirico Sperimentale d i Spoleto, ghiotta – e riuscitissima – riproposta d i d ue titoli fine anni ’50.
04 settembre 2024 • 5 minuti di lettura
Spoleto, Teatro Caio Melisso
Procedura penale, La smorfia
31/08/2024 - 31/08/2024Il Lirico Sperimentale d i Spoleto prosegue la sua meritoria opera d i riproposta d i titoli scenici, più o meno obliati, risalenti ai vent’anni seguenti la Secon d a Guerra Mon d iale. Storicamente è una fase d ’inquietu d ine carsica nel campo d elle d rammaturgie musicali: il linguaggio sonoro va torcen d osi oltre e fuori la koiné neoclassica pre-bellica, la vocalit à segue tale processo con minore evi d enza, spesso gli impianti d rammatici sono ricollegabili alla proto-crisi d el d ramma mo d erno – parafrasan d o la d efinizione d i Szon d i – e l’organico strumentale è cameristico (con incisive soluzioni timbriche); tutti – insomma – segnali d i ripensamento non ‘ra d icali’, rispetto a quelli d ella neo-avanguar d ia, ma con esiti comunque d i tutto rispetto e coerenti alle premesse linguistico-estetiche. La missione d i tale riscoperta appare peraltro particolarmente congeniale all’istituzione spoletina, che è nata proprio all’inizio d i quel perio d o, e che forma cantanti usciti d a non molto d agli stu d i acca d emici, d ove la rivoluzione d ella vocalit à secondo-novecentesca ha ancora poca citta d inanza: preparare vari titoli a rotazione, nei ritmi serrati d i un ‘festival’ d i fatto, vale un’esperienza profittevole sicuramente con quel repertorio. Resterebbe poi il problema d ello scrivere teatro musicale oggi, come il pur interessante e onesto tentativo d i Gilberto Cappelli (sempre a Spoleto, una settimana prima), al suo primo titolo scenico, testimonia: Anita è una cantata lirico-visionaria sull’eroina e compagna d i Garibal d i, in cui i tratti materici d ella sua scrittura galleggiano su una riconoscibile intelaiatura armonica, e quasi più ‘tematica’ che cellulare; scelte motivate certo d al tentativo d i tenere in un arco sonoro unitario i vari episo d i, però col risultato d i una smaccata quanto estenuante perio d icit à d el tempo musicale.
Ma veniamo al d ittico che ha ripresentato assieme, 6 5 anni d opo la première (a Como), Proce d ura penale di Luciano Chailly e La smorfia di Bruno Bettinelli. Il primo lavoro ha poi goduto di una buona ma non recente circolazione; il secondo invece non è stato più ripreso, e sarebbe stato un peccato non conoscerlo: la partitura diverte, è ben cesellata e adeguatamente spigolosa nelle soluzioni timbriche congegnate per sorreggere un’azione satirica fino al sarcasmo. Forse il punto debole sta nel libretto di Bacchelli, un po’ lungo e verboso, in sostanza retrospettivo nel ripercorrere tòpoi precedenti (la ragazza che prende l’iniziativa ma dice il contrario, il vecchio padre burbero – qui anche rincitrullito dalla mania della cabala – che ne ostacola i propositi sentimentali verso il giovane aiutante di farmacia) e nell’usare una lingua caricaturale vagamente ‘scapigliata’, ma ciò accade con efficace capacità di parodia e di vivificazione di quei topoi, che Bettinelli asseconda con buona capacità inventiva. Proce d ura penale di Chailly è un gioiello perfettamente costruito sullo svelto libretto di Buzzati: il testo è magistrale nello slittare – alla Dürrenmatt – da un clima di vacuo sciocchezzaio in un salotto altolocato all’incubo, per la Contessa padrona di casa, di un processo per delitti mai commessi o del tutto insensati, insinuandosi nelle crepe delle espressioni formalizzate – una rima fuori posto, una contraddizione… – degli ospiti poi inquisitori; quando la situazione torna sorprendentemente al punto di partenza, la voluta ambiguità tra il “come se nulla fosse stato” e un’irrecuperabili iato resta. Chailly enfatizza il tutto impeccabilmente con un ductus scabro, che massimizza i contrasti tra isolamento dei timbri e loro sintesi incisiva, nello strumentale, e tra stile parlante e deformazione espressionista, nel vocale.
La regia di Giorgio Bongiovanni è improntata a un’essenzialità efficacissima: gli elementi sceno-costumistici (curati da Andrea Stanisci e Clelia De Angelis) sono minimi ma caratterizzanti, sia per la trasformazione da salotto a tribunale in Chailly, sia per l’ambientazione – in La Smorfia – in una farmacia i cui pianali somigliano ‘stranamente’ a un tabellone da tombola, tanto da incitare il farmacista cronicamente perdente al lotto a un tiro a segno su di essi. Anche le azioni, in Procedura penale , sviluppano quella contraddizione paradossale che conduce all’inferno: lo spazio oltre al proscenio salverebbe l’accusata (è là che la Contessa raccatta faticosamente prove della sua innocenza), ma l’incubo prosegue aggravandosi, con tanto di sorelle citanti le gemelle-fantasma in Shining , le cui teste ingegnosamente si trasformano in piatti della bilancia.
Ragguardevole la prova, anche sul piano attoriale, dei giovani cantanti impegnati: una speciale nota di merito va al tenore Paolo Mascari, che ha dovuto sostenere – per assenza di rotazioni – i ruoli del giovane amoroso ma polemico, in La smorfia , e del dottor Polcevera, in Procedura penale , con lodevoli solidità e differenziazione drammatica (è proprio Polcevera a innescare il perfido scivolare in un processo). Il ruolo cruciale del farmacista Astronio, in Bettinelli, ha avuto degnissimo interprete in Andrea Ariano, coniugante – senza appesantirli – gli aspetti sia vocali sia teatrali della sua ‘macchietta’; affiatato e ben sbalzato il salace terzetto dei chiassosi amici di Astronio (Marco Gazzini, Federico Vita, Nicola Di Filippo); riuscitissimo il personaggio della figlia Vanda di Eleonora Benetti, voce piccola ma ben controllata, sicura nell’emissione e intonata pur con un vibrato contenutissimo, perfetta nel tratteggiare l’oscillazione tra iniziativa amorosa e preoccupato affetto filiale. In Chailly, inappuntabile la resa di Chiara Latini come Donna Titti (il personaggio più nonsensical), del mezzosoprano Francesca Lione – per di più gravata di abbondante costume – come sentenziosa Paola Isoscele, delle sempre precise gemelle unisone di Chiara Guerra e Viktoriia Balan, dello stagliato Giandomenico di Alberto Petricca, un baritono ora amabile ora severamente incalzante nell’alimentare le accuse quale giudice-capo. La riuscita collettiva del cast è stata coronata nella notevole Contessa del soprano Giorgia Costantino: tra comportamenti vocali differenziati e caratterizzati al meglio (le lunghe frasi prosastiche non accompagnate son suonate profeticamente sciarriniane), e funzione drammatica centrale sia da padrona sia da succube della situazione, la sua interpretazione ha rivelato doti già interamente professionali, e con ulteriori prospettive di crescita.
Molti pregi del cast non sarebbero certo emersi senza l’esperta, penetrante e trascinante guida di Marco Angius: al di là della padronanza tecnica, la consuetudine e lo scavo di pensiero che Angius proietta nella direzione della musica dell’ultimo secolo sono in grado di farvi emergere tutti i valori intrinseci insieme alle intuizioni prospettiche e alle radici. Il direttore ha ottenuto il massimo pure dagli strumentisti dell’Ensemble Calamani, in un’esecuzione positiva e benaugurante per la collaborazione partita quest’anno col Lirico Sperimentale. Pubblico visibilmente convinto e applausi entusiasti per tutti.