Bellini e il suo contesto

Catania: Un nuovo allestimento dei Puritani per il Bellini International Context

I Puritani (Foto Giacomo Orlando)
I Puritani (Foto Giacomo Orlando)
Recensione
classica
​​​​​​​ Catania, Teatro Massimo Bellini
I Puritani
08 Settembre 2023 - 06 Ottobre 2023

Bellini International Context è la denominazione ormai assestatasi per il nuovo festival inter-istituzionale dedicato al maggior compositore siciliano dell’Ottocento: quest’anno la programmazione, che ha coinvolto di nuovo le maggiori istituzioni musicali e culturali catanesi (Teatro Massimo Bellini, Conservatorio ‘Bellini’, Università di Catania) toccando peraltro anche Messina con una produzione di Norma e Palermo per alcuni concerti coprodotti, è sembrato un po’ più compatto – fortunatamente – nell’estensione temporale, senza rinunciare a una esibita pluralità di formule e, giusto il titolo, a una contestualizzazione che non riguarda solo il tempo storico di Bellini. Accanto alle serate di approfondimento musicologico, declinate quest’anno particolarmente attraverso temi e forme della performance, a concerti cameristici (meritevole la proposta del brillante Quintetto con clarinetto di Meyerbeer, eseguito con slancio dai suoi interpreti catanesi) e sinfonico-corali (tutt’altro che dimenticabile il Requiem di Pacini dedicato al suo conterraneo, con momenti suggestivi ben resi dagli organici diretti da Epifanio Comis e Luigi Petrozziello), di nuovo si è dato spazio a nuove composizioni ispirate in qualche modo dalla musica belliniana.

La ricca programmazione è servita tuttavia a confermare, ove ce ne sia bisogno, che il centro irradiante di tale contestualizzazione non può che restare il Bellini straordinario compositore-drammaturgo: perfino il bel recital monografico di una voce di primissimo piano nell’orizzonte melodrammatico, Jessica Pratt, indubbiamente notevole nel suo risultato complessivo (nonostante tribolazioni e bizzarre scelte della fonica all’aperto, ma col valore aggiunto della prensile direzione dell’Orchestra del Massimo di Palermo da parte di Manuela Ranno, plastica anche nella resa delle sinfonie belliniane, compresavi la giovanile ed iper-cimarosiana Sinfonia in Re Maggiore), ha avuto il suo momento memorabile nell’intero numero di Qui la voce sua soave, dove meglio è circolato il brivido drammatico dell’opera di provenienza.

La quale si è potuta vedere in scena al centro della kermesse, al Massimo Bellini, potendone cogliere tutti i superiori pregi sul piano della concezione e della realizzazione compositiva per la scena: è, come si sa, un Bellini nel pieno della maturità, al primo cimento fuori Italia, particolarmente attento e meditato alla costruzione delle strutture interpersonali e del loro inverarsi in musica. Le doti di concentrazione lirico-espressiva della melodia non bastano a descrivere l’eccezionalità dei Puritani, dove ragguardevoli sono pure le dosature della temperatura drammatica, con fasi riflessive e d’azione distribuite nelle varie parti dei numeri (e non sempre tutto si risolve in quelle ‘solite forme’, tipiche del periodo); i pieni e i vuoti della scrittura sinfonica, capace di mettere a fuoco personaggi timbrici in quella compagine; soprattutto, quel gioco di reminiscenze che implica una concezione del tutto organica della partitura operistica, senza dover chiamare in causa modelli europei. La possibilità di utilizzare le nuove edizioni critiche di tali partiture – per I Puritani, curata da Fabrizio Della Seta – è anche un fattore decisivo, quale presupposto di scelte pienamente consapevoli e avvaloranti l’impaginato drammatico-musicale (la completezza del terzetto del I° atto, ad es., sembra fondamentale per le implicazioni successive su quel piano, poiché perno delle situazioni individuali-sentimentali e collettive-politiche).

La regia di Chiara Muti da un lato limita gli elementi scenici (curati da Alessandro Camera), dall’altro li fa funzionare in modalità plurima, non sempre limpida: le grandi cornici di quadro, contornanti tableaux vivants più che azioni, paiono voler sviluppare collocazioni temporali differenti, riverberate nei differenti costumi – di Tommaso Lagattolla – del coro, ma fungono soprattutto da trait-d’union con i fondali pittorici da Füßli che sottolineano la lacerazione psichica di Elvira; assai interessante il loro alludere, alla fine, a delle forche che, sommate al fumo e al crollo di un fondale, suggeriscono un detournement sinistro del lieto fine; brava peraltro, la regista, nel focalizzare il tema della sosia, la creduta rivale Enrichetta, attraverso il bianco nuziale (ottimo il lavoro sulle cromìe del designer luci, Vincent Longuemare), quale motore tragico della defaillance d’identità – e della pietosa follia – della protagonista, proiettata poi nella continua confusione dell’amato e nei doppi delle ancelle.

Gli interpreti vocali hanno sviluppato una prova convincente, meritevolmente in crescendo di resa musicale e teatrale con il procedere dell’opera: Caterina Sala ha dato il meglio di sé, dopo l’episodio brillante di Son vergin vezzosa, nello scolpire le contrastanti nuances del personaggio di Elvira, e non solo negli episodi protagonistici; Dmitry Korciak ha mezzi vocali notevolissimi, che gli hanno permesso di affrontare con (troppa?) spavalderia il temibile cantabile d’esordio di Arturo, ma che hanno risaltato diffusamente proprio in tutte le successive situazioni dialogiche o pluri-solistiche; sempre meglio il Riccardo di Christian Federici, e di grand’effetto il carattere nobile – nei registri espressivi del patetico e del pugnace – che Dario Russo ha saputo infondere, con morbidezza di emissione e chiarezza di fraseggio, in Sir Giorgio; perfettamente nel ruolo la Enrichetta di Laura Verrecchia; cast completato da Andrea Tabili e Marco Puggioni. Si è già accennato delle qualità d’orchestrazione della partitura belliniana: Fabrizio Maria Carminati, alla guida dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini, le ha enucleate con fluidità e, insieme, gusto del colore, rendendo un servigio alle loro funzionalità drammatiche, sicché qualche imprecisione passa del tutto in secondo piano. Bene anche il coro guidato da Luigi Petrozziello. Spettacolo molto applaudito e seguito, non certo perché – meritoriamente – era ad ingresso libero su prenotazione: una politica che, in chiave d’una valorizzazione della figura di Bellini nella città che lo adula a volte solo a parole, sembra opportuna.

 

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